Nel docufilm Tumaranké, i protagonisti sono i migranti minori non accompagnati. Ma chi sono e perché alle ragazze è vietato il cellulare?
Si chiama ‘Tumarankè’ il documentario realizzato dal progetto Re-Future e girato con dei semplici smartphone dai migranti minori non accompagnati. Ma chi sono questi ragazzi e che destino li attende una volta arrivati nel nostro paese?
Tutto questo e molto altro emerge dalla visione di questo intenso ed emozionante film.
In occasione della presentazione di Tumarankè in una scuola superiore di Roma all’interno di ‘Io non odio’ (ciclo di eventi promosso dalla Regione Lazio), abbiamo incontrato le curatrici del progetto e uno dei protagonisti del documentario.
I migranti minori non accompagnati, sono tutti quei minorenni che arrivano senza genitori, senza fratelli o sorelle, senza una famiglia.
“Il progetto è nato da un articolo che abbiamo letto in cui si parlava dei tutori legali volontari, quando ancora non erano legge. – Ci spiega Simona Coppini curatrice del docufilm – Sono dei comuni cittadini che si riuniscono in delle liste che vengono presentate al tribunale e decidono così di prendersi cura dei minori che arrivano qui da soli. Gli permettevano di avere un documento, accedere alla scuola, avere cure mediche e poi, piano piano, si integravano in famiglie. Ci sono stati anche casi di affidamento. Un sistema capillare che funzionava e coinvolgeva la società civile. Per questo ci aveva affascinato.”
Il primo istinto di Simona Coppini, Marta Tagliavia e Camilla Paternò (gli altri membri del progetto Re-Future) era quello di raccontare questa realtà in modo assolutamente istituzionale, andando in prima persona a filmare con le telecamere in Sicilia.
“Poi ci siamo accorte – prosegue Simona Coppini ai nostri microfoni – che forse la cosa migliore era farla raccontare direttamente a loro senza il filtro del nostro racconto, così da avere un’opinione e un racconto che fossero più schietti veri e originali. “
Chi sono questi ragazzi di cui oggi tanto si parla? In un mondo in cui spesso vengono dipinti come ‘nemici’ come figure negative da combattere, che non appartengono alla nostra cultura con cui non abbiamo assolutamente punti di contatto, Tumaranké mostra che non è così. Sono ragazzi. Ragazzi come tanti, come noi, con sogni desideri e speranze. Con la voglia di ridere e divertirsi, magari giocando a pallone.
Il documentario ci racconta anche un’Italia diversa, capace di aprire le proprie braccia e accogliere questi ragazzi.
Ma Tumaranké colpisce non solo per la sua schiettezza e la sua originalità. Nel video notiamo l’assenza di figure femminili. Abbiamo chiesto il perché di questa assenza a Marta Tagliavia.
“Il progetto Re-Future era rivolto ai migranti minori non accompagnati, sia ragazzi che ragazze. – Ci spiega Marta Tagliavia – Quindi quando siamo andati nelle comunità per proporre questo progetto, ci siamo scontrati con una triste realtà. Le ragazze minorenni sono quasi sempre vittime di tratta e quindi non possono avere un telefono fino a quando non diventano maggiorenni, perché potrebbero essere facilmente rintracciate e contattate dai trafficanti.”
Per queste ragazze la vita fino al compimento della maggiore età è in delle comunità protette, in cui vengono seguite e accompagnate anche quando escono. Tutto per consentire loro di poter sperare e avere un futuro migliore.
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