Nel 1984 il mondo dell’arte gridò al miracolo: tre teste scolpite da Amedeo Modigliani riaffiorarono nel Fosso Mediceo, dove la leggenda voleva che l’artista stesso le avesse gettate in preda allo sconforto. Ma la realtà era un’altra.
Era il 1984 quando l’Italia, e in particolare la città di Livorno, visse una situazione paradossale, a tratti cinematografica, sicuramente illuminante sui vizi e le virtù del mondo dell’arte nostrano. Questo evento è passato alla storia come la Beffa del 1984 o delle false teste Modì, dal nome d’arte del grande artista, pittore e scultore livornese Amedeo Modigliani.
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Come spesso accade quando si verifica un evento eccezionale, sono molti gli elementi che si mettono in fila da soli. Per caso o quasi per magia, creano la condizione ottimale per la tempesta perfetta. Nel 1984 tutto iniziò dalla volontà di Vera Durbè, direttrice del Museo Progressivo di Arte Moderna di Livorno, e del fratello Dario, di omaggiare Modigliani con una mostra dedicata alla sua produzione scultorea, poco numerosa e anche poco apprezzata dalla critica.
Il ritrovamento delle teste Modì
La mostra rischiava di essere un flop, in quanto erano arrivate a Livorno solo quattro sculture. A quel punto i fratelli Durbè giocano il tutto per tutto. Chiedono di poter utilizzare delle scavatrici per perlustrare il Fosso Mediceo, dove nel 1909, si dice, Modigliani aveva gettato alcune delle sue sculture. Sconfortato dal giudizio dei suoi concittadini e in procinto di partire definitivamente per Parigi, aveva fatto quel gesto. L’impresa appariva già difficile in partenza. Il canale era stato già ripulito nel dopoguerra senza trovare nulla. Il Comune comunque decide di finanziare l’impresa, nella speranza di attirare turisti e organizzare una mostra sensazionale.
Dopo giorni di ricerche infruttuose, l’ottavo giorno vengono pescate ben tre sculture. Erano tre teste di granito scolpite con tratti allungati e tipici di Modigliani. Per Vera e Dario Durbè non vi furono dubbi fin dall’inizio. Quelle teste erano autentiche e si trattava di un ritrovamento incredibile. Dall’America al Giappone, tutto il mondo si ritrovò a Livorno. La cittadina venne invasa da turisti e curiosi che si assiepavano davanti al Museo di Villa Maria, impazienti di ammirare gli straordinari ritrovamenti.
La beffa di tre studenti e un lavoratore portuale
I critici erano concordi: le teste erano autentiche. Unica voce fuori dal coro, Carlo Pepi, collezionista d’arte, che ne confutava l’originalità. Poco prima di annunciare trionfalmente al mondo il ritrovamento con l’apertura ufficiale della mostra, ecco che sulla testa di Vera e Dario Durbè (ma anche di tutti i critici che si erano esposti e della città di Livorno) cadde una pesantissima tegola. Tre studenti di Livorno, Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Ghelarducci, in un’intervista rilasciata al settimanale Panorama, dichiararono di essere gli autori della seconda testa pescata del Fosso. Dissero che si trattava di una burla e confessarono di aver scolpito la testa con un trapano elettrico, fornendo anche prove della lavorazione. In un primo momento, chi si era speso a favore dell’autenticità delle teste, continuò a farlo. Il colpo definitivo a un castello di certezze sempre più fragili arrivò da Angelo Froglia, lavoratore portuale e artista nel tempo libero. Froglia ammise di aver creato le prime due teste. Non lo aveva fatto per burla, come gli studenti, ma per “suscitare un dibattito sui modi dell’arte“, come avrebbe dichiarato in seguito.
Il granchio preso era colossale: non solo numerosi critici si erano esposti dichiarando autentiche le teste, ma erano stati ignorati elementi macroscopici. Per esempio, la presenza di catrame sul retro di una delle due sculture realizzate da Froglia. Questo materiale non esisteva ai tempi di Modigliani e che era comunque galleggiante. La voglia di gridare al ritrovamento miracoloso, non sappiamo ancora oggi quanto in buona fede, aveva fatto scomparire dubbi e incongruenze. Di fatto, esponeva il mondo dell’arte italiana a una colossale figuraccia.
La morte della figlia di Modigliani (e dei progetti legati alla storia)
C’è un appendice noir a questa storia: la figlia di Modigliani, Jeanne, venne ritrovata morta in casa sua a Parigi in circostanze anomale, poco prima di partire alla volta di Livorno per dichiarare false le sculture di Froglia. Su questa storia è stato realizzato solo un documentario in Francia, Le vere false teste di Modigliani, nel 2011. Tuttavia, il progetto di un film, a cui pare stesse lavorando il regista livornese Paolo Virzì, è rimasto solo un’idea.
E mentre si parla di esporre in un museo le teste false, per l’incredibile clamore che hanno suscitato nel mondo dell’arte e come elemento di riflessione sui meccanismi di questo mondo, Pier Francesco Ferrucci, uno dei tre studenti “burloni”, oggi direttore all’Istituto europeo di oncologia a Milano, dichiara che rifarebbe tutto da capo: “È stata una trovata intelligente – ha dichiarato. Anche se, francamente non ci eravamo posti obiettivi ambiziosi. Tuttavia, è stata una esperienza che ci ha fatto crescere”.