Dietro la celebre ‘Venere di Urbino’ di Tiziano ci sarebbe un’altra Venere, quella Dormiente di Giorgione, su cui lo stesso Vecellio intervenne.
Quando l’allievo supera il maestro. Succede in tutti i campi e anche il mondo dell’arte può diventare un’arena dove i geni si confrontano, si sfidano, si superano. È il caso del rapporto tra Giorgione (1478 – 1510) e Tiziano Vecellio (1488 – 1576), entrambi cittadini della Repubblica di Venezia e tra i più importanti esponenti della scuola veneta. Allievo di Giorgione, secondo gli studiosi, Tiziano mise mano alla celebre Venere Dormiente del maestro. E fin qui, nulla di strano dal momento che l’intervento di più artisti a completamento di un’opera era pratica diffusa nelle botteghe.
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Ma Vecellio non si limitò a finire il quadro tanto che la sua pennellata finì per diventare un vero e proprio crimine artistico, un atto di saccheggio che trasformò l’opera originaria incompiuta in un seme per la futura Venere di Urbino. Non si trattò, quindi, di un semplice passaggio di consegne tra maestro e allievo ma quasi di una rapina a viso aperto che trasformò la visione eterea di Giorgione. Due Veneri, due mondi, un art crime.

Giorgione e la Venere Dormiente
Venezia, primi anni del Cinquecento. Giorgione, pittore del mistero, è impegnano nella creazione di una Venere Dormiente. È il 1510, e sulla tela prende vita una donna nuda, sdraiata su un drappo bianco che si confonde con la sua pelle diafana. Il corpo è un’onda morbida mentre il viso appare rilassato come in un sonno ristoratore. A circondarla, il paesaggio tipicamente veneto fatto di colline sinuose, erba tenera e un cielo che sfuma nell’infinito. Non c’è tensione, solo una quiete quasi mistica, un dialogo tra la figura umana e la natura vegetale che riflette l’ideale rinascimentale di armonia.
Tuttavia, la morte prematura – forse a causa della peste – colse Giorgione a soli 33 anni, prima che potesse portare a termine il lavoro. La tela, oggi alla Gemäldegalerie di Dresda, porta tutti i segni della sua incompletezza: alcune parti sono solo abbozzate e il paesaggio risulta appena accennato. È qui, dunque, che interviene Tiziano, chiamato a completare l’opera.

L’artista aggiunge dettagli al corpo, definisce i contorni, intensifica il verde delle colline e il blu del cielo. E non si limita a salvare il dipinto dalla condizione di non finito piuttosto ha l’ardire di trasformarlo secondo una visione personalissima, in parte lontana da quella giorgionesca. La Venere Dormiente diventa dunque un ibrido, un capolavoro a due voci. Ma non è abbastanza per Tiziano. Quel corpo addormentato, quel paesaggio idilliaco, sono solo il preludio a un furto più grande.
Tiziano e la Venere di Urbino
Passano quasi trent’anni. È il 1538, e Tiziano, divenuto ormai maestro indiscusso della scuola veneta, dipinge la Venere di Urbino, conservata oggi agli Uffizi. Basta guardarla per capire che il sogno di Giorgione è stato saccheggiato e riscritto. Innanzitutto, questa seconda Venere non dorme ma fissa l’osservatore sdraiata su un letto sfarzoso, tra cuscini di seta e lenzuola candide. Un cagnolino dorme ai suoi piedi, simbolo di fedeltà ma anche di pigrizia domestica, mentre sullo sfondo due serve frugano in un cassone, immerse nelle loro abitudini quotidiane.
L’ambiente è una stanza vivida, con tende rosso fuoco e una finestra da cui si intravede un paesaggio verdeggiante che risponde al calore della luce interna. Rispetto al profilo disegnato da Giorgione, il corpo della Venere di Tiziano è più pieno, le curve marcate, e la nudità diventa un’esibizione consapevole.
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Tiziano ruba la posa di Giorgione – il braccio dietro la testa, la gamba leggermente piegata – mala strappa dal suo Eden. Alla natura incontaminata sostituisce, infatti, un interno borghese; all’ideale subentra il reale e il misticismo originario lascia spazio a un’evidente sensualità che trasforma una dea in una donna. Il furto diventa, così, ri-creazione per un’opera che nasce proprio sulla base della precedente vestendola di carne, desiderio e realtà.
Se la Venere Dormiente è – almeno nelle intenzioni iniziali – un simbolo di bellezza astratta, tra uomo e divino, la Venere di Urbino è un corpo che vive e respira. In questo senso, l’intervento di Tiziano per completare la tela di Giorgione non è stato solo un gesto tecnico ma un laboratorio. Le pennellate aggiunte sono quasi una prova generale per la Venere di Urbino di fronte alla quale Giorgione finisce per restare solamente un’ombra.
Un dialogo ‘rubato’ che cambia l’arte
Messe una accanto all’altra, le due veneri raccontano storie diverse e quasi complementari. La Venere Dormiente di Giorgione, con la sua dolcezza sospesa, è un sogno che svanisce mentre la Venere di Urbino è un’esplosione di vita. E il ‘crimine’ di Tiziano è doppio: prima finisce il lavoro di Giorgione, poi lo usa per eclissarlo. Un art crime capace di segnare autentico punto di svolta destinato a influenzare secoli di pittura.
Basta citare l’Olympia di Manet, che ne riprende la posa con ancora più sfrontatezza. In fondo, l’arte vive anche di questi saccheggi per una rapina che non finisce mai, un dialogo tra giganti che incanta anche a secoli di distanza.
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