Risse, violenza e persino un omicidio: la vita di Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio, e dei suoi crimini.

La figura di Caravaggio nel nostro immaginario rappresenta ormai arte, eccellenza, cultura. E del resto il pittore – verso la fine del ‘600 – ci ha regalato capolavori che ancora portano lustro alle nostre città e all’Italia intera, che continua ad omaggiarlo con tutti i dovuti crismi. Come sempre, però, un artista è persona e personaggio. E se Caravaggio è ormai un’icona, Michelangelo Merisi è costretto quasi a vivere nella sua ombra. 

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La vita del pittore tuttavia è quasi un’opera a sé stante: la peste, i viaggi, i quadri, le relazioni amorose. Michelangelo Merisi era di fatto noto come un vero e proprio attaccabrighe e fu condannato anche per un omicidio. Scopriamo insieme le ombre della vita del Caravaggio.

I primi crimini di Caravaggio: risse e rime diffamatorie

Risse, schiamazzi, violenza. Intorno al 1600, chi conosceva Michelangelo Merisi lo avrebbe senza ombra di dubbio definito una testa calda. Non si sa molto dei primi problemi con la legge del pittore, ma sappiamo certamente che – intorno al 1590-1592 – fu colpevole di alcuni crimini che lo costrinsero a fuggire da Milano. Non era la prima volta che Caravaggio finiva nei guai – da sempre l’artista si rendeva protagonista di violenze e risse ed era noto alle forze dell’ordine – ma il Bellori indica proprio un assassinio (di cui non si sa nulla) o, più in generale, discordie come i motivi che lo spinsero a fuggire a Roma per evitare la condanna.

A Roma, i suoi crimini sono invece più noti e tracciati. Nel 1600, mentre soggiornava a Palazzo Madama ospite del cardinal Del Monte, Merisi picchiò con un bastone Girolamo Stampa da Montepulciano, altro ospite del cardinale. Fu denunciato e portato nelle carceri di Tor di Nona (un luogo in cui capitava spesso, sembrerebbe). Uscì di prigione nel 1601, ma finì di nuovo a processo per aver diffamato – con rime offensive – il pittore Giovanni Baglione. Dopo un mese nel carcere di Tor di Nona, gli furono però concessi gli arresti domiciliari.

Le opere di Caravaggio a Roma

La lite in osteria e la fuga a Genova

Nel 1604 entrò ed uscì dal carcere. I motivi? Possesso d’armi e ingiurie alle guardie cittadine. Molto nota a Roma è tuttavia anche la storia che lo vede entrare in un’osteria con uno spadone e lanciare in faccia a un oste un piatto di carciofi.

Siamo nel 1605 e i crimini di Michelangelo Merisi non fanno che aumentare. A causa di una donna (Lena, sua amante e modella) ferirà gravemente il notaio Mariano Pasqualone di Accumoli. Il pittore, per sfuggire alla legge, si nasconderà per tre settimane a Genova, solo per tornare a Roma ed essere querelato dalla sua padrona di casa per non aver pagato l’affitto.

Caravaggio e l’omicidio di Ranuccio Tomassoni

E siamo al 1606, anno in cui la vita di Michelangelo Morisi cambierà per sempre. È la sera del 28 maggio: a Campo Marzio si svolge una partita di pallacorda, a cui partecipa anche il nostro Caravaggio. A causa di un fallo, tra i giocatori scoppia una rissa. Merisi viene dapprima ferito e, in tutta risposta, reagisce uccidendo mortalmente Ranuccio Tomassoni da Terni. Incidente, legittima difesa o ennesimo scoppio di violenza? Ciò che è certo è che tra Caravaggio e Ranuccio Tomassoni non corresse buon sangue da tempo. E, in questa storia, c’entra anche un quadro celebre del pittore.

I Tomassoni non erano del resto una famiglia che potremmo definire perbene. All’epoca a Roma erano trattati con rispetto in quanto temuti per i loro affari loschi. Ranuccio, nello specifico, era a capo del giro di prostituzione della famiglia di cui beneficiavano esponenti ricchissimi della società romana. Un lenocinio d’alto livello in cui la prima donna era senza ombra di dubbio Fillide Melandroni, la cortigiana più ricercata e desiderata allora di tutta Roma.

Il ritratto di Fillide Melandroni realizzato da Caravaggio

Tra Ranuccio e Fillide, probabilmente, c’era un rapporto sia amoroso che d’affari. Un sodalizio più che un accordo lavorativo, ed è il motivo per cui Fillide riceverà spesso un trattamento di favore da parte delle forze dell’ordine. Tra i clienti della Melandroni compariva anche Giulio Strozzi e fu probabilmente il nobile veneziano a commissionare al Caravaggio un ritratto della donna (in mostra prima a Berlino, andato perso alla fine della seconda guerra mondiale). Le storie di Caravaggio, Ranuccio e Fillide finirono così per intrecciarsi. Secondo alcuni storici, la donna poserà più volte per il pittore e ne diventerà l’amante (dato mai accertato, va detto).

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Legittima difesa o omicidio?

Nel tentare di risolvere l’omicidio di Ranuccio, in breve, storici ed esperti hanno sondato vari moventi senza avere mai certezze: secondo alcuni fu un omicidio d’impeto, ma gli atti giudiziari dimostrano che – già prima della fatidica partita di pallacorda – i due fossero venuti alle mani, per questioni economiche o amorose che siano. Per altri, la partita di pallacorda era solo un pretesto per mimetizzare in realtà un duello e sfuggire alle conseguenze che un reato simile comportava all’epoca. Anche perché Caravaggio si presentò con Onorio Longhi (suo storico amico) e due uomini d’arme, mentre Ranuccio portò con sé i cognati e il fratello Giovan Francesco. Insomma, gente fin troppo sospetta per una partitella serale.

Quali che siano le motivazioni (mai scoperte), Caravaggio ferì alla coscia il suo avversario, colpendo con molta probabilità l’arteria: Ranuccio morirà dissanguato in pochissimo tempo, mentre il Merisi – ferito a sua volta dal fratello di Ranuccio – fuggirà da Roma per non tornare mai più. L’omicidio gli procurò infatti una condanna a morte (per la precisione, per mezzo di decapitazione).

La fuga da Roma e nuovi problemi a Malta

Per il Caravaggio inizierà un periodo di grande tormento: nei suoi quadri apparvero per la prima volta teste mozzate e persino i suoi autoritratti sembrano portare il peso della condanna. Grazie soprattutto a Filippo I Colonna, il pittore riuscì almeno a salvarsi la vita, arrivando (siamo verso la fine del 1606) a Napoli dove iniziò a lavorare per i Carafa-Colonna. Nel 1607, sempre grazie alla famiglia Colonna, Michelangelo Merisi arrivò invece a Malta: il suo scopo era diventare Cavaliere e ottenere così l’immunità dalla sua condanna a morte, diventata ormai una vera e propria spada di Damocle. Nel 1608 riuscì a ottenere la carica di Cavaliere di Grazia dell’Ordine di Malta, ma anche qui risse e violenze ebbero la meglio.

A causa del litigio con un Cavaliere di rango superiore, fu infatti rinchiuso nel carcere di Sant’Angelo a Birgu, da cui evase (sempre grazie ai Colonna) per rifugiarsi a Siracusa. Bene notare che i cavalieri espulsero con disonore Caravaggio dall’ordine in quanto «membro fetido e putrido». Nel 1609, Caravaggio tornò a Napoli, ma aveva alle costole tutti i suoi nemici e il peso della condanna a morte era diventato insostenibile. 

Decollazione di san Giovanni Battista nella Concattedrale di San Giovanni di La Valletta

Il ritorno in Italia e la morte

Quando nel 1610 Papa Paolo V gli rese noto che era in preparazione la revoca della sua condanna, per Caravaggio sembrò finalmente la via della salvezza: partì subito con un traghetto diretto a Porto Ercole, con l’intento tuttavia di sbarcare segretamente a Palo di Ladispoli e attendere lì il condono per rientrare a Roma.

Abbiamo però già detto che Caravaggio a Roma – dopo il 1606 – non metterà più piede. Cosa accadde allora? La storia della fine del Caravaggio è assurda e misteriosa quanto la sua vita: la leggenda più accreditata vuole che – sbarcato a Ladispoli – fu fermato per accertamenti. Il traghetto ripartì, portando con sé i bagagli del pittore. E le valigie del Caravaggio non potevano che contenere quadri di grande valore, per inciso il pagamento dovuto (al cardinale Borghese) per riappropriarsi della propria libertà. L’artista – con un nuovo traghetto – si precipitò dunque a Porto Ercole per recuperare i bagagli, ma ormai stanco e gravemente malato, morirà il 18 luglio 1610 nel sanatorio Santa Maria Ausiliatrice (della allora Confraternita locale di Santa Croce). Mai libero e mai condonato.

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