Tra il 1906 e il 1909 Pablo Picasso visse quello che tuttora viene definito il suo Periodo Africano (detto anche periodo nero). Il pittore sviluppò infatti una vera e propria passione per le maschere e l’arte africana – che all’inizio del XX secolo arrivavano a Parigi in seguito all’imperialismo francese nell’Africa subsahariana – influenzando inevitabilmente la sua opera. Una ricerca – quella dell’artista – non priva di polemiche e discussioni negli anni: da un lato c’è un evidente citazionismo da parte di Picasso, dall’altro in molti si domandano quanto il suo approccio – guidato dai tempi in cui ha vissuto – non fosse piuttosto colonialista e quindi indebitamente appropriativo.
I racconti che arrivavano dall’Africa erano del resto viziati dall’occhio occidentale e anche la visione dell’arte locale doveva in parte esserlo. Eppure, per Picasso l’incontro con le prospettive e le forme del continente invaso fu come una rivelazione. Si narra che fu Matisse il primo a mostrare all’artista spagnolo una statuina di legno Kongo-Vili: Picasso era in visita nell’appartamento di Gertrude Stein nel 1907, quando Matisse passò a salutare con la scultura da mostrare ai suoi amici. Intrigato da quella rappresentazione così differente dai canoni francesi, nella primavera del 1907 Picasso si recò al Museo Etnografico del Palais du Trocadero – insieme all’amico André Derain – per ammirare l’arte africana.
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Il Periodo Africano di Pablo Picasso
Ne fu talmente influenzato che nel giro di un mese concluse uno dei suoi capolavori più noti, iniziato l’anno precedente: Les Demoiselles d’Avignon (Le signorine di via Avignone) è, di fatto, il primo quadro cubista dell’artista ed è tuttora considerato il manifesto del Cubismo. Le influenze di Picasso furono in realtà più di una e non solo riconducibili alle pure maschere africane: da Gauguin all’arte iberica preromana, è evidente che l’artista stesse cercando di destrutturare forme e fisionomie. Eppure due figure – quelle a destra – sono chiaramente ispirate alle maschere tradizionali africane, probabilmente osservate dal pittore proprio al Trocadero.
Più nel dettaglio, e al netto delle polemiche, i cubisti (oltre a Picasso, è da citare anche Braque) trovarono nelle sculture africane il superamento della prospettiva classica. Permettevano agli artisti di andare oltre il concetto di verosimiglianza, che all’epoca in Occidente era un approccio rivoluzionario. A quei tempi – e questo va sottolineato – anche la visione stessa del colonialismo era diversa dall’idea storica che possiamo averne oggi. In molti hanno criticato Picasso per essersi appropriato delle maschere africane: l’accusa principale è quella di aver rimosso gli artefatti africani dal loro contesto originario per creare una versione semplificata e occidentale del primitivismo.
Fu lo stesso Picasso tuttavia a difendersi più volte da questa accusa. Il pittore sosteneva di comprendere profondamente e rispettare questi oggetti artistici. In particolare, apprezzava il legame tra scultura e creatore: in cuor suo, sperava di replicare quell’intenso vincolo che unisce opera e autore. Anche per questo, era solito collezionare maschere africane di cui si circondava nel suo studio per trarne ispirazione.
Africa e spiritualità
«Non sono – disse – come le altre sculture. Per niente. Sono magiche, intercedono su tutto. Combattono contro ignoti spiriti minacciosi. Io comprendo lo scopo della scultura per gli africani». Commentò anche, in quegli anni, che – durante la sua visita al Museo Etnografico – «un odore di muffa e di abbandono mi prese per la gola. Ero così depresso che me ne sarei andato immediatamente. Mi costrinsi però a restare, a esaminare queste maschere, tutti questi oggetti che le persone avevano creato con uno scopo sacro e magico, per fungere da intermediari tra loro e le forze sconosciute e ostili che li circondavano, tentando in questo modo di superare le paure dando loro colore e forma».
«E allora capii – concluse – cosa significasse veramente dipingere. Non è un processo estetico. È una forma di magia che si interpone tra noi e l’universo ostile, un mezzo per prendere potere imponendo una forma ai nostri terrori e ai nostri desideri. Il giorno in cui lo capii, avevo trovato la mia strada». Insomma, la faccenda è spirituale e non solo artistica.
I seguaci di Picasso
Va anche detto che il successo di questo citazionismo lo rese ufficiale in poco tempo: Amedeo Modigliani, Maurice de Vlaminck, André Derain sono solo alcuni degli artisti che seguirono le orme di Picasso. De Vlaminck disse che fu proprio il pittore spagnolo a capire per primo «ciò che possiamo imparare dalla concezione della scultura dell’arte africana e oceanica. L’ha incorporato nei suoi dipinti».
Dipinti come il Busto di Donna (1907), Madre e figlio (1907), Nudo con le braccia alzate (1907) e Tre donne (1908): tutti appartenenti al periodo africano dell’artista e di forte ispirazione per gli stessi pittori dell’epoca.
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Nel 2006, a Johannesburg si è tenuta una mostra dal titolo Picasso e l’Africa: in esposizione vi erano i dipinti del periodo africano di Picasso con accanto le maschere a cui si sarebbe (presumibilmente) ispirato. Su The Guardian, la curatrice Marylin Martin disse: «Picasso non ha mai copiato l’arte africana, motivo per cui questa mostra non abbina un’opera africana specifica con un Picasso». E aggiunse: «Aveva un suo personale punto di vista per esprimere la propria arte. Nei suoi disegni, ci sono bozze di antilopi che somigliano molto alle sculture Bambara. Ma poi diede vita a una metamorfosi, creando qualcosa di nuovo e di fenomenale».