“Un tributo alla cultura hip hop”. Questo sarà EM15, lo show evento che Emis Killa sta preparano a Fiera Milano Live per il prossimo 2 settembre. E quando si parla di hip hop, tiene a precisare l’artista di Vimercate, non è solo questione di musica. Non a caso, per presentare il concerto (qui i dettagli e gli ospiti annunciati finora) il rapper ha scelto uno spazio nella sua città natia che è una galleria d’arte.
E raccontando il progetto che sta prendendo forma per celebrare i suoi primi quindici anni di musica, Killa ricorda i suoi esordi tra musica e writing. Perché sì, l’hip hop è una cultura, un modo di vivere, un’attitudine. Non è solo abbracciare uno stile musicale come forse troppi giovani oggi pensano. Un aspetto che l’artista rivendica rievocando gli inizi e che conferma con una sezione dedicata in occasione di EM15.
“Abbiamo pensato a due palchi – anticipa l’artista – e quello B sarà dedicato a contest di freestyle. In più ci sarà una sezione per i writers con gente che verrà a fare i graffiti e si potrà entrare già parecchie ore prima. Volevo proprio che fosse un tributo all’hip hop culture, qualcosa che i giovani non sanno. Quel tipo di cultura è proprio svanita ma è qualcosa che noi conosciamo benissimo. Oggi nessuno ne parla più ma era quello ci portava a fare rap. È stato così per me: facevo musica, contemporaneamente facevo graffiti e andavo dall’amico che faceva beatbox”.
“Mi affascinava tutto quel mondo delle jam e dei breakers, per questo stiamo cercando di fare una mega jam”, prosegue Emis Killa. “Lì ti confrontavi non solo con la tua materia ma anche con tutte le discipline che facevano parte di quella stessa cultura. Questo creava un’aggregazione pazzesca, ed era affasciante. La gente l’ha sempre chiamata erroneamente musica perché l’hip hop non è musica ma una cultura. E io non mi sento figlio del rap, io mi sento figlio dell’hip hop. Ho un passato da writer e ho vissuto tutti gli aspetti, escluso essere un breaker perché non sono un gran ballerino”.
L’intento, quindi, è far respirare ai giovani di oggi quel tipo di realtà, una subcultura ben definita di cui il rap era una sfumatura. E creava legami fortissimi: “quella roba dell’ hip hop creava un’aggregazione che era genuina. Non c’erano doppi fini, non si parlava di soldi perché quelli non c’erano così come non c’era lo stress. L’unico stress che potevi vivere era il fatto che il writer del paese a fianco ti aveva scritto su graffito e quindi dovevi andare a litigarci”.
LEGGI ANCHE: — ‘About Us’, l’arte di Tracey Snelling come strumento di cambiamento sociale
“Adesso è diventato veramente difficile: non lo dice nessuno ma lavorare nel rap oggi è complicato, una volta era molto più semplice, più amatoriale. Se vogliamo, però, funzionava bene e di certo per la mia salute mentale questa genuinità forse era meglio. Per non parlare della magia di vivere tutto con gli occhi di un quindicenne, dalle trasferte in treno per le gare di freestyle e con gli amici writter”.
Un assaggio di quel mondo rivivrà, quindi, a Fiera Milano Live con la speranza che le nuove generazioni allarghino lo sguardo anche solo per amore di conoscenza.
Immagini da Ufficio Stampa