Franca Leosini ai nostri microfoni racconta cosa si cela dietro ogni singola puntata di Storie Maledette, dalla scelta dei casi allo studio degli stessi.
Più di un programma e più di un format, Storie Maledette è ormai un vero e proprio cult, atteso e osannato dagli appassionati ma centellinato nelle sue uscite. Perché – come dice la sua ideatrice Franca Leosini ai nostri microfoni – “dietro ogni vicenda ci sono mesi di studio”.
Sono pochi i casi che Franca Leosini decide di raccontare in ogni stagione e la realizzazione di appena due ore di puntata prevede un lavoro immenso, che va dalla scelta dei casi da trattare alla storia narrativa che la giornalista sceglie poi di dipanare di fronte allo sguardo del suo narratore e degli ascoltatori seduti davanti al piccolo schermo.
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“Ogni volta che prendo in esame una storia, io entro nell’anima di questa storia. Non racconto solo la vicenda giudiziaria, ma quella umana, culturale e ambientale. Non scelgo i casi solo in base alla loro notorietà, che poi è una parola che proprio non mi piace. Diciamo piuttosto che valuto la diffusione che il caso ha ottenuto attraverso la stampa e l’interesse umano che ha suscitato in me, oltre all’interesse da un punto di vista giornalistico”.
Franca Leosini
L’esempio più lampante è quello del Delitto di Avetrana, andato in onda nella scorsa stagione di Storie Maledette. Le interviste a Sabrina Misseri e Cosima Serrano “hanno avuto un riscontro fortissimo, come l’intervista a Rudy Guede. Sono casi che hanno occupato la cronaca in modo intenso”. Ma ci sono anche casi poco noti che hanno suscitato un interesse molto forte. La Leosini cita la puntata L’Amante Giovane, andata in onda nel 2009. Protagonista Adele Mongelli. “Non era lei l’amante giovane – specifica Franca – ma il ragazzo di cui lei si era innamorata e per il quale aveva lasciato marito e figli. Mi chiedi come scelgo i casi? Ecco, anche in base alla tematica. In questo caso mi interessava che, laddove prima erano solo gli uomini ad accompagnarsi con ragazze molto più giovani, adesso ci sono donne più avanti negli anni che si accompagnano con uomini molto più giovani di loro. In fondo la ruota della storia ha girato, sicuramente a favore della donna che ora ha più libertà sociale”.
“Studio molto con grande disperazione dei miei direttori, ma grazie a Dio porto riscontro e consenso. Faccio poche puntate perché, dietro ogni storia che porto in trasmissione, ci sono mesi di studio. Per il caso di Avetrana, ad esempio, parliamo di 10mila pagine di processo. Io di una storia devo sapere tutto”.
Franca Leosini
Dalla scelta del caso, la Leosini passa poi subito allo studio dello stesso e, in seguito, alla costruzione di una vera e propria storia narrativa. “L’atto del crimine è l’ultimo atto di un percorso che io prendo in esame – ci rivela – e che avvolge tutta la narrazione di una storia, che ha senso per me solo se la racconto così. Per fortuna vengo seguita anche per questo e mi gratifica”.
La più grande soddisfazione per Franca Leosini è, tuttavia, quella di essere seguita dalle nuove generazioni. “Conosci i Leosiners? Sono ragazzi – commenta – e sapere che questi ragazzi mi seguono mi dà una grande gioia. Mi risarcisce di tanto lavoro e ci deve fare riflettere su quanto i ragazzi siano profondi e sensibili. Se dai loro un prodotto decente, i ragazzi ti seguono. Sono molto appassionata dei giovani, ma forse solo perché in fondo anche io sono una ragazza“.
Articolo di Grazia Cicciotti / Videointervista di Elena Balestri