My Name Is Michael Holbrook è il titolo del nuovo disco di Mika, progetto in cui l’artista attraversa gioie e dolori vissuti in prima persona. E ritrova se stesso.

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My Name Is Michael Holbrook: è esattamente da qui, da quel suo nome legale tanto detestato, che Mika riparte e mai come in questo caso di ripartenza si tratta. Non solo per i quattro anni di silenzio discografico, la parentesi televisiva con il fortunato one man show e il tour sinfonico. Quello dell’artista anglo-libanese inizia la nuova pagina di un libro i cui capitoli hanno titoli in cui riecheggiano famiglia, dolore, amore, arte, riscoperta.

“Ero tante cose ma nello stesso tempo non volevo essere come mio padre”, ha raccontato in conferenza stampa. Un’affermazione che ha un che di pirandelliano ma che conferma un’artista senza nulla da nascondere. Così, tutto inizia dall’incontro con il sé, attraverso quel giovane Holbrook che si era lasciato quasi indietro.

E per ridefinirsi, una volta dissodate le radici paterne in terra americana, ecco la famiglia, quel nucleo che Mika descrive come un po’ strampalato, con le sue vacanze nel sud della Francia e la tappa italiana a Sanremo (a cui dedica una canzone nel disco). Gioie e dolori si toccano e l’eclettico Mika, la cui sensibilità ha il fascino delle cose fragili e preziose, ne ha attraversati parecchi in questi ultimi anni.

Se sono felice? Sono felice più oggi di quanto non lo sia stato in dieci anni ma ugualmente posso dire che sono più triste oggi di quanto non lo sia stato in dieci anni. Di certo sento in tutto questo un’enorme urgenza, un sentimento che è molto libanese.

Cadute e risalite di Michael Holbrook

In My Name Is Michael Holbrook, Mika scava tra cadute e risalite continue, descrive l’inferno della malattia e la dipendenza che ha visto negli occhi di un amico, per poi cantare “l’attaccamento alla vita per cui finisci a cercare in ogni minima speranza una molecola di dio”. E questo ce lo racconta senza censure, con i suoi suoni pieni di colori, tratteggiando un quadro in cui la musica si è fatta portavoce liberatoria e spesso consolatoria del suo mondo privato.

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Uno specchio riflesso da cui, ogni volta, imparare qualcosa. “È stato un momento complicato nella mia famiglia, – inizia il cantautore – tante persone che hanno ispirato la mia musica non ci sono più. Ho perso mia nonna, mia zia e anche un’altra nonna con cui sono cresciuto; poi è peggiorata molto la salute di mia madre, che ha lavorato con me fino a un anno fa.

Ho messo tutta questa turbolenza della mia vita personale nell’album e per questo lo sento come un disco in tempo reale. Nel mio ultimo tour americano, ho portato sul palco alcuni interventi registrati con le voci dei miei familiari ed è stato come dire: ‘io sono qua, sono protagonista di un one man show nel quale ho l’impressione di cantare della mia stessa vita’.”

E aggiunge: “Stavo bruciando il mio carburante a 200 km all’ora e questa energia è qualcosa che si avverte. Infatti, la risposta del pubblico ha avuto la stessa intensità dell’intenzione della mia performance: è lo show più importante della mia carriera ed è quello in cui ti sto dicendo che la volte la vita è una merda ma proprio per questo sto facendo così sul palco.”

La vita non è semplice ogni giorno ma posso dire ‘ok, quello che vivo non è separato da questo che ti sto cantando’.

L’album è nato tra Miami e la Toscana, regione quest’ultima in cui Mika ha trovato una seconda casa, un buen retiro che lo fa sentire protetto e lo diverte: “Ho preso in affitto una casa e lì ho costruito uno studio, a trenta minuti da Firenze – spiega – Ricordo che la prima volta in cui ci sono stato nessuno degli abitanti mi parlava e non capivo il perché.

Fino a quando, nel momento in cui un turista mi ha chiesto una foto, alcuni sono intervenuti perché non mi disturbasse. Per la prima volta nella mia vita ho sentito di avere un paese: vado al bar, sento le storie della gente, ho imparato anche a potare gli alberi. È una zona che amo perché è piena di segreti”, chiosa sorridendo Mika nel pensare a quanto corrano le voci nei piccoli centri lontani della città.

Passato e presente di Mika

In bilico tra passato, presente e futuro, Mika non dimentica alcuni degli incontri che più lo hanno segnato, a partire da quello con Dario Fo: “Mi ha insegnato tante cose, non solo sulla tv e sul teatro ma anche sull’Italia, un paese che prima capivo di meno. Lui mi ha aiutato ad approfondire, gli sono molto riconoscente.”

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E aggiunge: “Ho lavorato con tante persone che mi hanno ispirato e penso ad Ariana Grande così come a Pierpaolo Piccioli, che ha fatto più che vestirmi: con gli abiti lui mi ha raccontato. E poi ci sono Lily Allen e Amy Winehouse: noi tre facevamo degli show improbabili, una forma di reazione a certo pop degli Anni Duemila. Noi volevamo sottolineare le nostre differenze da quel mondo.”

Ma volgendo lo sguardo al futuro, almeno quello prossimo, Mika vede ora avvicinarsi il tour italiano nei palazzetti: “Della tv non mi piace il rischio che ha di deformarti e di mettere un filtro al rapporto fisico, graffiante, con la gente, che è quello che io invece voglio con questo show. Se ce la farò a cantare a cappella anche un solo brano insieme a tutta la gente, per me lo show sarà riuscito.”

Abbiamo fatto una scenografia pura e intensa, quasi un’estrazione del mio mondo e della mia vita con una serie di elementi sospesi. E ci sarà un pianoforte magico che fa cose assurde.

Manca un tassello, quello dell’oggi. Che cosa sente di aver imparato Mika? Lo canta nelle canzoni del disco e lo spiega in questi termini: “ Ho imparato a capire che ogni gesto conta e ha delle conseguenze; quindi, è meglio muoversi più lentamente e con maggiore consapevolezza. Non è restare fermo, è muoversi con attenzione, che significa muoversi più liberamente. Quel carburante che ho consumato è stato il mio bruciare per ricominciare.”

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