Il debutto solista nel 2017, una manciata di singoli e l’opening a Fabrizio Moro: il cantautore romano Emanuele Bianco ci racconta il suo percorso, tra Avicii e Ed Sheeran.
Romano classe 1993, Emanuele Bianco ha fatto della musica la propria vita. Per lui, che suona da quando aveva sei anni, la disciplina delle sette note ha segnato letteralmente il carattere smussandone, come ama dire lui stesso, i lati più spigolosi. Per questo Emanuele non può cantare se non quello che vive e sente, non può mentire.
E quando l’esperienza di gruppo – con il collettivo Black Book Fam prima e con Influenze Negative poi – gli diventa stretta, nel 2017 si lancia nell’impresa solista che in meno di due anno lo ha portato ad aprire alcuni concerti di Fabrizio Moro, a Roma e Milano. Il suo ultimo singolo è Sotto la Torre Eiffel (Fattoria Management / Believe) e arriva dopo Tu sei, Buona fortuna e Cara Sofia.
In attesa del nuovo album, su cui l’artista sta lavorando in Italia e oltreoceano, abbiamo voluto conoscere meglio Emanuele Bianco e la sua storia in cui anche Avicii ed Ed Sheeran hanno messo lo zampino.
È da poco uscito il tuo nuovo singolo Sotto la Torre Eiffel. Partiamo dalla genesi, come è nato il brano?
È un brano nato di getto. L’ho scritto di notte lo scorso agosto. È proprio uno di quei brani che nella scrittura una frase ha tirato giù l’altra. Successivamente l’abbiamo iniziato ad arrangiare in studio quando abbiamo capito che era uno dei singoli che avremmo fatto uscire.
Tra le prime parole che canti nel pezzo ci sono istinto e libertà: che cosa rappresentano per te, nella tua musica e in generale?
Sicuramente sono due parole molto importanti. Io credo che spesso bisogna fidarsi del proprio istinto e cogliere i varchi che ci si presentano nella nostra vita. Questo diciamo che in parte significa dare ascolto a se stessi e quindi sentirsi liberi.
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E a proposito di musica: hai iniziato a studiare pianoforte ancora bambino, quali sono i tuoi primi ricordi legati alle sette note?
Ricordo una tastiera e un libricino dove potevo imparare “Per Elisa” da autodidatta. Avevo circa 6 anni. Col passare del tempo mi sono affianco a maestri a dir poco fantastici come Carmelo Piccolo e Maria Teresa Carunchio.
Emanuele, il tuo percorso è partito quindi con una formazione solida, “classica” direi, quanto ti ha plasmato anche nel carattere?
Mi piace dire che questa impostazione “classica” ha “smussato gli angoli forti del mio carattere”. Mi ha fatto capire che la musica doveva essere il centro della mia vita. Quegli anni sono stati davvero belli. Mi hanno insegnato quanto la dedizione, l’impegno e la “didattica” siano fondamentali per fare un’eccellente performance.
Quali sono gli artisti che hanno segnato maggiormente il tuo modo di vivere la musica?
Il modo di “vivere” la musica sicuramente Avicii, la sua storia mi ha segnato particolarmente. Il documentario su di lui mi ha lasciato davvero tanto e fatto riflettere molto. Anche Ed Sheeran sicuramente ha segnato parecchio la mia personalità.
Impossibile non citare i concerti che ti hanno visto aprire il tour di Fabrizio Moro, a Roma e Milano: cosa ha significato per te calcare quei palchi?
È stata un’emozione PAZZESCA, non smetterò mai di ringraziare Fabrizio, Maurizio Castellani e Gabriele Crescimbeni che hanno creduto in me dall’inizio. Non mi sarei mai immaginato pochi mesi fa che sarebbe successo tutto questo. Li ringrazierò sempre.
Emanuele, sei al lavoro sul nuovo disco: quale augurio vorresti fare a te stesso per il nuovo anno?
Di vivere questo nuovo anno con presenza e di rimanere concentrato ogni giorno per fare sempre il passo più giusto in direzione dei miei obiettivi, per raggiungerli e superarli.