Il titolo sembra già sussurrare qualcosa al solo pronunciarlo, o leggerlo nella mente. Quel che affidiamo al vento è il nuovo romanzo Laura Imai Messina, autrice italiana ormai trapiantata in Giappone dove è docente universitaria. E proprio di quella terra così geograficamente remota, la scrittrice dimostra di aver assorbito ritmi e abitudini.
Ascoltarla, infatti, con quel suo tono di voce così pacato addirittura basso per come siamo abituati nel nostro quotidiano, apre una finestra su tradizioni lontane. Non poteva che svolgersi nel paese del Sol Levante, in un giardino dall’intimità discreta, la storia di Yui e Takeshi, uniti da un’assenza su cui si costruisce piano piano un nuovo senso della presenza.
Quel che affidiamo al vento è un romanzo di speranza e di resilienza che sa parlare a noi occidentali attraverso il fascino delle cose che hanno grazia e pudore. Il cuore – geografico e sentimentale della vicenda – è non a caso un giardino che accoglie un luogo speciale di connessione.
“La prima reazione dopo un lutto è diversa tra Occidente e Oriente – ci spiega Laura Imai Messina – Noi abbiamo l’idea di dover buttare fuori tutto per liberarci mentre i giapponesi hanno una forma di discrezione anche nel non sopraffare l’altro. Soprattutto quando si tratta di un sentimento negativo.
Poi, certo, tra pubblico e privato è molto diverso, ma non c’è mai alcun atteggiamento di vittimismo perché prevale la compostezza di chi non vuole contagiare in negativo.” E la tragedia che si abbatte sul microcosmo dei protagonisti incontra la macrostoria di un’intera comunità colpita dallo tsunami nel 2011, da cui prende il via il racconto di Yui.
E tutto confluisce, scorre, verso il giardino di Bell Gardia Kujira-yama. “Quando ci sono stata per la prima volta è stato emotivamente fortissimo – continua la Messina – L’ho frequentato per sei settimane consecutive, sentendone tutta la spiritualità, qualcosa di bellissimo. Non riuscivo a staccarmene, quasi come fossi in preda a un innamoramento.”
Più che una colonna sonora, questo libro suona come l’effetto del vento sulle cose: è una porta che sbatte, un corpo sfiorato dal vento, una montagna erosa lentamente.
Quell’angolo di mondo sembra dunque il paradiso, eppure è proprio lì che giungono persone nel loro inferno personale. Quello di un distacco dalle persone più care, il lutto, la mancanza. “Quel giardino ha un suono preciso: al suo ingresso c’è una campanella che si muove nel vento e quel tintinnio si sente ovunque, una musica.”
Così, tra parole e suoni, Quel che affidiamo al vento potrebbe anche diventare un film. “Per ora posso solo dire che c’è un’opzione per portarlo sul grande schermo… ma capita normalmente che poi non se ne faccia nulla. Vedremo se si realizzerà…”
Così, al momento, ci accontentiamo di leggere di Yui e Takeshi, che la scrittura evocativa della Messina definisce nel vento. E affida a noi un augurio che è motivo di speranza perché “tutti si meritano la felicità”.
Laura Imai Messina, Quel che affidiamo al vento, Piemme, 2020
Foto da Ufficio Stampa PIEMME