Era giugno 2019 quando Lele pubblicava quello che ad oggi è il suo ultimo album in ordine di tempo, certo, ma forse non solo. In una cavalcata senza sosta, ha attraversato The Voice of Italy, poi è passato per Amici e infine si è guadagnato il primo posto a Sanremo fra le Nuove Proposte. Ed era il 2017.
In un’epoca del tutto e subito, potrebbe sembrare un percorso perfetto, coi riflettori sempre accesi e i motori da mantenere ben caldi finché ce n’è. Eppure non è stata una passeggiata di salute per Lele, invischiato in un tramestio di esperienze invidiabili da parte di molti ma che possono far perdere la bussola.
E quella bussola, a un certo punto, Esposito l’ha voluta fermare per non lasciarsela sfuggire. Di fronte al rischio di perdersi, si è messo lui al timone e, consultata la mappa, si è messo in viaggio. La prima tappa a cui è giunto è 4 On The Boat, webseries disponibile su YouTube che vuole essere un osservatorio sulla contemporaneità tale da interrogare anche chi la guarda.
Abbiamo raggiunto Lele per capire meglio il progetto, dall’idea originaria alla sua realizzazione, e salire anche noi a bordo. Ecco la nostra chiacchierata.
Da dove sei partito per arrivare a questo tipo di lavoro?
Oltre a essere appassionato di musica, io sono un appassionato in generale, mi piacciono tante cose perché sono una persona curiosa. In particolare, sono amo il mondo americano e il loro modo di comunicare, che negli ultimi anni è un po’ cambiato. Proprio loro, che sono sempre stati quelli della comunicazione veloce, ultimamente hanno iniziato a dilatare i tempi per dare più spazio alla gente. E l’ho trovata una cosa molto interessante.
Un paio di anni fa, in concomitanza con il fatto che avevo bisogno di staccare dalla musica e di prendermi del tempo per crescere, ho iniziato a macinare format americani che hanno alimentato questa passione.
La velocità, anche coi social, penalizza l’espressione?
Penso che abbiamo molto bisogno di trovare un modo nuovo di comunicare, e parlo a livello italiano in generale. Secondo me la nostra comunicazione si è impantanata: riusciamo solo a far emergere o cose super trash o cose bellissime, come se ciò che è brutto e ciò che è bello abbia perso di diversificazione. Tutto ha lo stesso viso e secondo me non può essere così. Alla base c’è stato davvero un bisogno di verità, perché quando hai più tempo puoi esprimerti veramente.
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E come hai riportato, in Italia, quel tipo di approccio nuovo?
Dall’idea alla sua realizzazione è stato come seguire un neonato che inizia a gattonare per poi arrivare a camminare. A livello tecnico, io e Patrizio, mio socio in questa avventura, siamo partiti praticamente da zero ed è stato molto stimolante anche per questo.
I protagonisti di 4 on the boat sono persone comuni: qual è il criterio di scelta?
Di base tutte le storie di vita vanno bene per questo format, ciò che conta è la voglia che le persone hanno di raccontarsi. Il criterio di selezione di fatto è solo questo, scegliamo gente che abbia effettivamente il desiderio di essere ascoltata e questo è il centro di tutto. Siamo parte di uno scrolling generale, facciamo chilometri su Instagram ma alla fine abbiamo poca attenzione se non per quelli che sono i nostri miti o idoli del momento.
Questioni di followers…
Faccio una provocazione: tra una persona comune un influencer, a parte il numero di follower, qual è la differenza? Tutti vogliono attenzione e usano i social per attirarla, ma quanta attenzione reale siamo disposti a dare alle persone comuni che ce la chiedono continuamente? E aggiungo: siamo davvero sicuri che gli influencer dicano una cosa migliore rispetto a quello che potresti pensare tu?
Tutta questa differenza che sembra ci sia tra una persona che ha tanti fans e una persona che ne ha pochi in realtà non c’è, perché conta quello che pensi e come lo pensi.
Rispetto alle aspettative iniziali, dopo aver girato i primi episodi, si sono create delle dinamiche che non previste?
La prima esperienza è stata assurda, a partire dal mio stesso ruolo di ghost host. Essendo un pessimista di base, avevo timore ad affrontare questa cosa a cui mi approcciavo per la prima volta, e avevo un’ansia assurda. Ma già dal primo episodio che abbiamo girato, quando le persone hanno iniziato a immedesimarsi e a emozionarsi, è cambiato tutto.
Ho avuto la possibilità di parlare con una madre che mi ha raccontato cose davvero importanti e questo è stato bellissimo, così come lo è stato parlare con uno degli ospiti che non era entrato subito nel meccanismo del format e ho dovuto cercare di entrarci io per dargli la possibilità di trovare un punto in comune con gli altri. Alla fine è impossibile non relazionarsi con cose del genere, perché in un modo o nell’altro sono dinamiche che succedono nella vita di tutti quanti, forse in modo diverso ma ci appartengono.
Vogliamo far vedere ciò che sta dietro i social e raccontare la verità dei fatti per come effettivamente stanno. E forse le cose non sono così rosee come le vogliamo far vedere.
Ma in tutto questo, la musica dove si colloca? Ovvero, a che distanza sei oggi dal “sistema musica”?
Ecco, questa penso sia un’ottima domanda. La distanza da quello che hai chiamato “sistema musica” non è poi così tanta perché, frequentando persone che ne fanno parte stabilmente, io comunque continuo a girarci attorno. Sto continuando a scrivere, ma devo capire come gestirmi in modo da non farmi male da solo. Questo è il mio obiettivo perché sono molto bravo a farmi male, a vivermi le cose male, ma io voglio viverle bene e devo capire che cosa mi appartiene e che cosa no.
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Ma ti ha deluso la musica?
In realtà non mi hanno deluso né la musica né l’industria musicale, ho semplicemente preso coscienza del fatto che molto probabilmente il palco non è il mio posto. Avevo un contratto con una major che ha investito su di me e ho avuto anche proposte da altre case discografiche, ma non era quello che volevo, non ero contento. In quel contesto io l’ho vissuta molto male, e non intendo le dinamiche della musica in sé: in studio sono sempre stato benissimo, ho avuto la possibilità con lavoro di lavorare con Michele Canova con cui ho sempre desiderato collaborare e con Elisa… voglio dire ci sono state tante possibilità ma probabilmente stare sul palco non è per me.
Quindi il Lele di Amici e Sanremo non c’è più?
Amici è stata in assoluto l’esperienza più bella della mia vita e non si può rinnegare una cosa del genere né tanto meno spiegare se non la si è vissuta. Quando ne sento parlare come se fosse una scorciatoia, mi fa ridere perché è evidente che non hanno capito che cosa sia. Ho iniziato con The Voice che avevo 17 anni, poi sono arrivati Amici appunto e ancora Sanremo, poi il tour e il disco.
Dai 17 ai 22 anni è stato un continuo girare per me, un vortice, e praticamente non mi sono mai fermato in quattro anni che sono fondamentali nella crescita. Quindi, adesso guardare le cose dall’esterno mi permette tante analisi che prima, da dentro, non potevo fare perché ero troppo coinvolto, sotto tanti punti di vista.
E ritorniamo al concetto di tempo, di cui sopra: ti stai concedendo il privilegio del tempo…
A 21 anni, quando ancora forse non avevo cambiato tutti i denti, mi hanno detto che ero fallito; ho sentito persone dirmi che, non avendo vinto Amici e non avendo venduto milioni di copie, avevo fallito. Da questo punto di vista, penso che dobbiamo darci tutti un po’ una regolata. Io sono contento non solo del fatto che mi sto dando del tempo ma che voglio capire come fare per essere contento e cosa mi fa stare bene. So che la musica mi fa stare bene, in che modo lo sto capendo.
Per questo 2020, allora, la rotta qual è?
Sono in viaggio, la metà definitiva non l’abbiamo ancora decisa ma sicuramente il fatto di passare attraverso la verità è un suggerimento per quella che può essere la destinazione. Io mi auguro di riuscire a fare nella vita quello che sono e non dover crearmi qualcosa per fare la mia vita. Voglio essere Lele senza alcun alter ego, non voglio piacere a nessuno perché devo farlo, piuttosto mi auguro di riuscirci perché me lo merito, perché ho delle qualità e perché quello che penso è valido.
Foto da Ufficio Stampa M. Zannoner