A tre anni dal precedente, Dente torna con un album che porta il suo nome, muovendosi tra introspezione e racconto degli altri. La nostra intervista.
Ci sono voluti sei album perché Giuseppe Peveri, in arte Dente, pubblicasse un disco – il settimo della sua carriera, appunto – che avesse come titolo il proprio nome. Una scelta, identitaria prima ancora che artistica, che nasce innanzitutto da un desiderio di cambiamento. E come ogni cambiamento porta con sé una nuova partenza.
“Questo potrebbe essere definito come il mio secondo primo disco – ci spiega Dente – Solitamente i dischi di debutto sono omonimi e questo è effettivamente una seconda fase. Col precedente disco ho chiuso i primi dieci anni di carriera ricordando i miei esordi e ho voluto chiudere una parentesi per aprirne un’altra adesso, dopo tre anni.”
Un disco omonimo ora? Ci stava come rinascita, nuova e diversa. È un disco molto collaborativo che racconta il mio desiderio di cambiare e superare dei miei limiti personali.
A tre anni da Canzoni per metà, da venerdì 28 febbraio è disponibile Dente (INRI/Artist First), undici tracce che, come scrive l’artista, “sono passate sotto le mani, le orecchie e i giudizi di tanta gente prima di vedere la luce.”
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Il titolo ego riferito non deve trarre in inganno perché c’è l’io ma ci sono anche gli altri. “Più che linee tematiche, c’è un comune denominatore che sono io: questo disco è un lavoro introspettivo in cui mi faccio tante domande, scavo nei ricordi e faccio ragionamenti sul futuro.”
In questo disco parlo tantissimo di me, anche attraverso gli altri, e spero di parlare anche degli altri parlando di me.
E se al momento risultano sospesi gli appuntamenti instore, Dente si prepara a presentare il progetto dal vivo che lo porterà sui palchi per tutta l’estate, “fino a quando ne volete”. Parola di Dente.
Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi da Ufficio Stampa Parole e Dintorni