Dal vinile a Spotify è il titolo del libro con cui Roberto Razzini – quarant’anni di lavoro nel settore musicale – si racconta tracciando al contempo uno spaccato della discografia italiana in cui autobiografia e storia si intrecciano con la naturalezza di chi, quella stessa storia, l’ha vissuta e non di radio ha contribuito a segnarla.
Dal mondo dei grossisti alla distribuzione nei grandi magazzini fino allo streaming, quello del disco è un viaggio fatto di piccole e grandi trasformazioni che hanno a che fare con la materialità dei supporti e con l’immaterialità della sensibilità creativa. Ma se c’è qualcosa che resta davvero ieri come oggi, beh, quelle sono le canzoni.
Parto dal colophon, dove si legge: “finito di stampare nel mese di giugno 2020”, che significa l’altro ieri o almeno post-pandemia. Che cosa ha rappresentato la musica in quest’ultimo periodo?
Credo che la musica sia stata vissuta in modi diversi, a seconda del proprio rapporto con la musica stessa. Per chi di musica vive, scrivendola ed interpretandola, forse questo periodo ha rappresentato un momento di riflessione; per chi la musica l’ascolta in streaming o con qualsiasi altro mezzo, un momento da dedicare all’approfondimento ed allargare i propri orizzonti di genere.
Sicuramente un elemento di forte impatto di quest’ultimo periodo e comune a tutti, per gli artisti, gli addetti ai lavori e il pubblico, è stato quello della mancanza di musica live.
Ma da dove arriva l’esigenza di raccontarsi e raccontare la discografia, e non solo, in un libro? E ha un lettore ideale a cui si rivolge?
In tutta onestà, più che da me l’idea nasce dall’editore People. Il tentativo, spero riuscito, era quello di riassumere in un volume l’impatto che la tecnologia ha avuto sul mercato discografico e musicale. Il raccontare parte del mio percorso personale è servito per creare il canovaccio sul quale poi appoggiare la narrazione dei diversi cambiamenti che hanno caratterizzato il mondo della musica in questi anni.
Questo libro penso possa rivolgersi a chi nutre l’interesse di approfondire alcuni aspetti del mercato discografico ed editoriale, probabilmente non così conosciuti o di dominio pubblico. Spero di essere riuscito a rendere fruibile anche ai non addetti ai lavori, alcuni aspetti, necessariamente tecnici.
Dal vinile a Spotify è il titolo del suo libro, che nel sottotitolo rivela l’aspetto più umano e artistico del racconto. Cosa serve perché una canzone resti davvero?
La caratteristica che rende il successo di una canzone duraturo nel tempo è la sua capacità di “colpire” chi l’ascolta: può essere il testo o una sua parte, una melodia, un arrangiamento, un giro di basso o un’armonia. Comunque, un gancio che permetta a questa canzone di affrancarsi.
Quando una canzone ci resta in testa, talvolta anche inconsciamente, vuol dire che la canzone è entrata a far parte di noi.
Tra le pagine sono raccolti più di quarant’anni di discografia e vita: se dovesse scegliere un’immagine per rappresentare ciascun decennio, quale sarebbe?
Il ragazzo di bottega degli anni ’70. Il negozio di dischi degli anni ’80. I tanti viaggi negli Stati Uniti degli anni ’90. La nomina a AD di Warner Chappell negli anni 2000 e la maturità professionale. Detto questo, aspettiamo cosa ci riserveranno questi anni ’20. Considerato come il loro esordio sia stato negativamente segnato da questa pandemia, auspicherei già dal prossimo autunno solo cose positive, per tutti noi e non solo per la musica.
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Quella dell’editore musicale è una professione, forse proprio una missione, che ai più passa quasi inosservata come fosse fantasmatica. Eppure senza si tratta di una figura chiave: come è cambiato, anche con lo sviluppo tecnologico, il ruolo dell’editore?
Sotto l’aspetto concettuale, l’Editore Musicale svolge lo stesso lavoro di sempre: ricerca nuovi autori, li coadiuva e li assiste nella loro quotidianità, aiutandoli nel trovare le giuste opportunità sul mercato per le loro opere. Tutela i diritti patrimoniali degli autori e i propri, attraverso le licenze di utilizzo del repertorio.
Diciamo che il continuo sviluppo tecnologico ha “solo” creato una moltitudine di utilizzazioni e di tipologie di fruizione della musica, che hanno reso necessaria una struttura organizzativa e gestionale più rapida e efficace. Però va sottolineato come da sempre l’Editore Musicale, operi licenziando i propri repertori musicali.
Siamo nell’era liquida, in cui tutto per definizione sembra perdere consistenza. Dai libri agli e-book, dal cd alle playlist, senza però che i supporti fisici vengano mai del tutto soppiantati (penso alla persistenza del vinile): in fondo siamo dei nostalgici?
Non credo sia un problema di nostalgia, ma di necessità di dare consistenza, di tanto in tanto, alle nostre passioni e alle nostre affezioni. L’immaterialità può essere comoda da gestire e ha saputo affermarsi in questi ultimi anni. Ciò nonostante continuiamo ad avere bisogno, del conforto e del contatto fisico dell’oggetto.
Letteratura e musica in questo viaggiano molto collegati tra loro. Posso ascoltare molta musica su Spotify o scaricare e-book, perché è pratico, se vado in vacanza e voglio muovermi leggero; però in alcuni casi, il prodotto fisico da possedere ci appaga maggiormente; dà sicuramente più soddisfazione all’esperienza.
E con lo streaming è cambiato il tempo che si dedica all’ascolto?
Assolutamente sì. Le ultime tecnologie e lo streaming hanno reso ancora più fruibile l’ascolto della musica, rendendo possibile questa esperienza, in ogni luogo e con qualsiasi modalità. Ora l’esperienza di ascoltare un singolo brano oppure un’intera playlist, è diventata parte del nostro quotidiano. Credo sia comune, nel corso della propria giornata, quando si hanno anche solo 5 minuti a disposizione, ascoltare musica: mentre si aspetta un mezzo pubblico, quando si fa sport o la spesa, in viaggio come a casa propria.
Con Warner Chappell organizza i Writing Camp che periodicamente vedono lavorare insieme alcune delle penne più promettenti del momento. Qual è l’aspetto più gratificante di queste esperienze?
Cerchiamo sempre di mettere a disposizione degli autori e degli artisti che invitiamo ai nostri Camp di scrittura, un luogo riservato, affittato in esclusiva, lontano dalle città e immerso nella natura. In quel contesto, vivendo insieme e condividendo tempo e spazio per diversi giorni, è più facile concentrarsi sulla scrittura. Queste sessioni sono delle vere e proprie full immersion di scrittura, dove l’unico scopo è quello di scrivere nuovi brani, mettendosi in gioco, sia con colleghi già conosciuti che con collaborazioni totalmente inedite.
Spesso chi inizia come autore decide a un certo punto di compiere “il grande salto”, ma il palco è una dimensione che non premia tutti. Ci sono delle caratteristiche imprescindibili per essere un buon cantautore?
Vorrei sottolineare come talvolta il percorso possa essere anche inverso. Detto questo, il palco è il luogo principe per chi si esibisce e per chi fa l’artista, ma non è alla portata di tutti. Non basta essere dotati vocalmente. Saper stare sul palco è un’attitudine specifica, che presuppone una considerevole capacità di autocontrollo. Si può crescere ed imparare a stare sul palco, ma si deve aver dentro una forza non comune per confrontarsi con il pubblico, sia quando questo succede in un locale di provincia, sia in uno stadio davanti a 90.000 persone. Saper scrivere belle canzoni e avere una bella voce non basta per essere un cantautore di successo.
La naturalezza, la personalità, la capacità di dominare le pressioni e farle diventare adrenalina per la propria esibizione, sono gli elementi che determinano la capacità di un autore di essere in grado di cantare le proprie canzoni o doversi limitare a scriverle per altri.
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Infine, che tipo di stagione musicale/autorale sta vivendo oggi l’Italia? Quali tendenze vede?
La stagione musicale che stiamo attraversando in questo periodo, nonostante il lockdown, la trovo ricca di novità e molto prolifica. Da un punto di vista creativo, credo che l’ondata proposta dai nuovi artisti della scena Trap e Rap sia assolutamente degna di nota. Contestualmente c’è anche una forte spinta, in generi musicali più tradizionali del cantautorato, del pop e del filone indie, con proposte nuove di sicuro interesse e conferme da parte di artisti già affermati.
Il problema della musica oggi non ritengo quindi che sia creativo; credo che sia invece più legato ad un aspetto gestionale e di marginalità. Mi spiego meglio: il lockdown ha di fatto sospeso ogni attività, diretta o indiretta, che dà ai protagonisti della musica (autori, artisti, editori musicali, e tutti coloro i quali fanno parte di questa filiera) la giusta ed equa marginalità. Se escludiamo i proventi di Diritto d’Autore e di Diritti Connessi generati dalle utilizzazioni delle piattaforme digitali, dei network televisivi e di quelli radiofonici, tutte le altre fonti di introito generate dalla cosiddetta “pubblica esecuzione” (concerti, pianobar, discoteche, bar, ristoranti, ecc.) sono stati bloccati dal lockdown.
Tutto questo vuol dire un calo di fatturato dell’intera filiera di diverse centinaia di milioni di euro. Questa è una stima valida alla data odierna. Non è detto che il perdurare dello stop di queste attività possa ulteriormente peggiorare questo scenario. Va anche sottolineato come questi ricavi siano difficilmente recuperabili in periodi futuri e siano da considerare quasi interamente persi.
Foto di Andrea Cherchi da Ufficio Stampa Parole & Dintorni