Ci siamo fatti raccontare ‘War of the Worlds 2’ dai suoi protagonisti, dal produttore Julian Murphy e da Howard Overman.
War of the Worlds 2 è finalmente arrivato su Star – all’interno di Disney+ – il 6 ottobre. La serie, ambientata in un mondo distrutto da un attacco alieno, continua il suo racconto proprio da dove lo avevamo lasciato. I pochi sopravvissuti si trovano ancora nel caos dopo una serie di brutali perdite. Avendo scoperto una strana connessione personale con gli alieni, Emily è costretta a confrontarsi con una sconvolgente ipotesi: gli invasori potrebbero essere umani? Mentre il gruppo fa i conti con questa nuova consapevolezza riguardante gli alieni, il disperato istinto di sopravvivenza spinge molti di loro a compiere gesti estremi. E alcuni contempleranno anche il sacrificio di uno di loro.
Ne abbiamo parlato con il cast, con il produttore Julian Murphy e con lo sceneggiatore Howard Overman.
War of the Worlds 2, Howard Overman e il processo creativo
I primi commenti li carpiamo da Howard Overman. La seconda stagione di War of the Worlds ha presentato numerose difficoltà al cast e alla crew, perché è stata girata in pandemia. Un parallelismo che ha inciso, su più livelli, anche sulla tragedia narrata nello show.
«In un certo senso, il processo creativo è sempre lo stesso. – ci dice – Avevo già in mente come sarebbe stata la stagione in generale. La più grande differenza è che avevo già a disposizione il cast principale. Ed è stato più facile, perché potevo immaginarli mentre scrivevo le scene. Ho sempre nella mia testa un’idea molto chiara di dove voglio andare. In questo caso, sapevo che dovevamo rispondere a domande sollevate nella prima stagione».
Ci troviamo sempre in un mondo distrutto da un’invasione aliena. «Non un mondo propriamente distopico – ci dice Howard – perché è ancora il mondo come lo conosciamo».
«Ne abbiamo discusso. Le armi degli alieni devono distruggere tutto? Radere al suolo edifici e palazzi? Volevamo un mondo come il nostro, ma più vuoto. Volevamo realizzare un vero sci-fi, che fosse reale. Perché il pubblico deve riconoscerlo come il mondo in cui vive. Ed è interessante per lo storytelling, ma anche per una questione pratica. La sfida è stato renderlo reale, ma terrificante. Nella stagione 2, ad esempio, i corpi sono più decomposti, e il mondo è ancora un po’ più post-apocalittico. Poi abbiamo girato durante la pandemia, e questo ci ha dato accesso a location a cui non saremmo potuti accedere. Perché erano realmente vuote. Ed è stato strano girare la storia di una tragedia in una tragedia vera».
Ma come ha influito la vera tragedia sulla tragedia rappresentata? «Abbiamo finito di scrivere prima della pandemia. A marzo abbiamo girato con lo script già pronto. – ci risponde Howard – Penso che nel subconscio però la pandemia mi abbia influenzato. Sicuramente ha influenzato i personaggi. Credo che in fondo sarà più interessante per il pubblico, che ha vissuto una situazione simile. Forse li farà riflettere. L’apocalisse è un tema molto comune nei media. È stato interessante vedere la gente in fila al supermercato, il panico, l’obbligo di distanziamento. Non è mai successo niente del genere. Ho controllato se corrispondevano a ciò che avevo scritto sulle reazioni dei personaggi della serie».
Léa Drucker, Bayo Gbadamosi, Ty Tennant e Pearl Chanda: le sfide della seconda stagione
Se per Howard Overman la pandemia ha rappresentato una sfida soprattutto a livello narrativo, per il cast le difficoltà sono state soprattutto tecniche.
«È stato strano perché giravamo durante la pandemia, ci ha resi confusi. – ha commentato Léa Drucker – Avevamo molte emozioni differenti. In un certo senso è stato bello poter lavorare, poter andare sul set, vedere il cast e la crew e condividere i nostri sentimenti. Non eravamo chiusi in un appartamento, eravamo insieme. Ciò che raccontiamo, poi, riguarda una grande minaccia, la necessità di sopravvivere e come ci avviciniamo a coloro che amiamo perché abbiamo paura che tutto finisca. La differenza con la stagione 1 è che stavolta c’è un mix di immaginazione ma anche sensazioni molto reali, che ci hanno reso molto fragili e vulnerabili. Ciò che penso è che War of the Worlds sia sci-fiction, ma purtroppo il virus è una realtà terribile e questa è la differenza principale».
La stagione 2 – al di là dei problemi tecnici – ha portato però anche a un innalzamento generale della posta in gioco. Soprattutto per le aspettative del pubblico.
«La seconda stagione indaga più su cosa significa essere umani. – ci dice Bayo Gbadamosi – Anche nell’ottica della sopravvivenza e di una netta distinzione tra bene e male. Si vedrà chi è veramente buono e chi è veramente cattivo. C’è una visione più intima dei personaggi».
«Vedrete molto di più le intenzioni di entrambe le parti in gioco. – aggiunge Ty Tennant – Credo sia una rappresentazione corretta dell’umanità e del modo in cui le due parti combaciano. Vedrete gli istinti basici della sopravvivenza, ma non voglio spoilerare troppo. Non è solo la rappresentazione di un’invasione o dell’isolamento, ma della reazione degli esseri umani. E ci sarà ovviamente azione. Gli uomini non sono più semplicemente invasi, ma cercano di rispondere all’invasione».
«Ricordo che un giorno ci stavamo divertendo tantissimo durante una scena in cui sparavo a tantissime persone. – conclude Pearl Chanda – Poi sono tornata a casa e il mio cuore era stretto in una morsa. In un certo senso il nostro lavoro è uccidere le persone e lo senti, su vari livelli. Avevo un attacco di panico».
Julian Murphy, un occhio alla produzione di War of the Worlds 2
Infine, anche la produzione ha dovuto affrontare la sua dose di sfide. Ce le racconta Julian Murphy.
«Per tutti tornare sul set in tutto il mondo è stata una decisione difficile. – ci dice Julian – Perché non sapevamo come sarebbe andata. In molti paesi la situazione è tragica. Ne abbiamo parlato e abbiamo tutti pensato che dovevamo provare e poi ci siamo convinti che andasse fatto e potesse essere fatto. Penso che fosse importante farcela, perché era un modo per andare avanti. E ora ci sentiamo più sicuri di questo, ma abbiamo ancora paura».
«Sulla seconda stagione – conclude poi Julian – dirò solo che un cattivo è scritto bene quando provi simpatia per lui. Altrimenti per me non stai raccontando una storia valida».