Pacifico ospite de ‘La Milanesiana’: «Il mio atto di gratitudine»

Il cantautore e scrittore Gino Pacifico torna sul palco de La Milanesiana, rassegna meneghina ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. L’artista è atteso nella serata di venerdì 10 giugno al Cinema Mexico (via Savona, 57) per un appuntamento dal titolo Canto Popolare. Con lui anche l’attore Luca Simonetta Sandri e il giornalista Piero Colaprico, che apriranno lo speciale evento con un reading e, a seguire, il concerto de Il coro delle mondine di Novi e dei Flexus.

Già protagonista della manifestazione nel 2021, Pacifico propone questa volta una serie di letture tratte dal suo ultimo romanzo Io e la mia famiglia di barbari (La Nave di Teseo, 2022), selezionate per dare voce e testimonianza al tema ‘Omissioni’ che è il fil rouge della 23esima edizione de La Milanesiana. Per l’occasione abbiamo raggiunto l’artista, ecco che cosa ci ha raccontato.

Venerdì 10 giugno è tra le voci dell’evento Canto Popolare nell’ambito de La Milanesiana: come è nata l’idea di questa serata di lettura e musica che sono i due mondi che più le appartengono?

Tutto nasce con Elisabetta Sgarbi, che sa mettere insieme cose diverse cercando di dare stimoli nuovi. Quando si va a uno degli appuntamenti de La Milanesiana ci sono sempre delle sorprese. E ci sono tante motivazioni per questa serata: c’è il canto popolare, c’è il coro delle mondine, ci sono i Lexus, che fanno un repertorio ispirato al territorio. E poi ci sono tre letture, delle quali la mia ha che fare più che altro con un ricordo dei miei genitori e con quello che in vita non ho detto, soprattutto a mio padre che non c’è più. È un atto di gratitudine, qualcosa che ho fatto anche con il mio ultimo il libro: sto cercando di recuperare una lunga omissione perché da figli non è mai facile dimostrare gratitudine.

Una serata in cui è protagonista e spettatore insieme, dunque.

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Ci saranno veramente tante cose e, anche se sarò in scena, sono davvero curioso di vedere cosa succederà. Credo che questo si debba al fatto che Elisabetta sa sempre mettere insieme generi diversi, l’alto e il basso; è proprio una cosa che credo le derivi dalla sua frequentazione con Umberto Eco. Ha un grandissimo legame con i territori e le realtà locali, non a caso lavora con gli Extraliscio, che sono dei romagnoli sperimentatori. Quindi succede che anche tu che sei in scena ti trovi a girarti per vedere cosa succede. E questo è molto bello e stimolante.

Come ha selezionato i testi del suo reading?

Lì c’è stata una libertà assoluta, che viene sempre concessa da Elisabetta. Nel mio caso, anche in relazione a quello che verrà presentato dagli altri sul palco con me, il racconto che porto è legato al territorio e alla città. Ho vissuto con gli occhi dei miei genitori la Milano degli operai che venivano dal Sud e che si impegnavano a lavorare come dei matti. Erano gli Anni Cinquanta, quelli del dopoguerra e della ricostruzione, e questa è la testimonianza che mi è stato chiesto di portare.

La Milanesiana 2022

A disegnare la rosa che dalla prima edizione è il simbolo de La Milanesiana è stato Franco Battiato. Nel corso della sua carriera ha avuto modo di conoscerlo? Che ricordi ha?

Più ancora che come artista, perché è difficile imparare da artisti così grandi – o lo sei di tuo o c’è poco da fare –, Franco Battiato è stato importante come ascolto, per l’emozione, il conforto e il divertimento che mi ha regalato. Poi, ho avuto la fortuna di incontrarlo un paio di volte, e mi diede un consiglio come al solito illuminante e pacato su una canzone. E ho fatto in tempo a vedere il suo lato più divertente: abbiamo cenato insieme a Parigi, dopo un suo concerto fenomenale all’Olympia, e ricordo quell’occasione come una serata bellissima. Battiato aveva mostrato disponibilità e gentilezza verso tutti; non perdeva di vista nessuno e, anche se era stato il suo concerto, era attentissimo a tutti, ed era spiritosissimo. Il suo humor era veramente irresistibile. È un ricordo artistico e personale che conservo, tra i miei pezzi di cuore che mi portano più emozione.

Il romanzo ‘Io e la mia famiglia di barbari’

Nelle scorse settimane ha pubblicato il romanzo Io e la mia famiglia di barbari: qual è stata l’idea da cui è partita la stesura di questo lavoro?

In realtà la prima scrittura si è originata da un piccolo aneddoto che mi ha raccontato mia madre. La stranezza non era tanto il racconto in sé ma il termine di questo aneddoto relativo a sua madre, mia nonna. Mia madre rimase orfana giovanissima e il suo cruccio era che della memoria di sua mamma non ci fosse nulla. Così mi ha chiesto di far diventare quel racconto almeno di carta. E inizialmente ho pensato che avrei scritto semplicemente una paginetta; invece, appena ho iniziato a scrivere sono comparsi un sacco di personaggi, come in una catena. Così ho scritto un po’ di pagine che volevo semplicemente rappresentare dal vivo come un reading. Dopo aver conosciuto telefonicamente Elisabetta, le ho mandato quelle righe e lei ne è rimasta entusiasta. Mi ha chiesto di farne un libro. È stata una scrittura abbastanza fluida anche perché, in questo caso, il materiale lo conoscevo bene.

Rispetto alla scrittura nella forma canzone, la libertà metrica che dà la prosa cambia la percezione anche nell’approccio al contenuto?

Beh sì, perché il foglio bianco di canzone rispetto alla prosa è differente, senza che questo voglia dire che uno sia più facile dell’altro. Nel caso della canzone, sai che quando hai riempito un foglio tendenzialmente hai finito. Il foglio bianco del libro, invece, è il primo di una serie, quindi ha una dilatazione molto grande. Alla fine, comunque, ci sono dei principi a cui non puoi venir meno. C’è sempre una giustezza della scrittura, ma è vero che la canzone rappresenta una sintesi di poche righe. Invece, la difficoltà che hai in un libro è quella di non perdere pezzi lungo il cammino.

Prima accennava ai ricordi di famiglia ma le generazioni di oggi che rapporto hanno con la memoria? Non si sta un po’ perdendo?

Sì, mi sembra che siamo entrati in un’altra epoca in cui forse non c’è neanche questo rimpianto. Quando ero ragazzino mi annoiavo se mi parlavano dell’importanza la memoria, perché quando sei giovane guardi molto avanti, corri e vuoi raccogliere più che andare a tenere insieme le cose. Oggi siamo in un tempo in cui il passaggio da presente a passato è veramente diventato una frazione di secondo. Non so dire cosa sarà in futuro, i ricordi ci saranno e andremo a vedere cosa le generazioni vorranno ritrovare indietro quando avranno voglia di farlo. Però è chiaro che si tende a produrre tantissimo e a trattenere molto meno.

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Anche nella musica di cosiddetti evergreen, i brani intramontabili, ce ne sono sempre di meno, servono di meno. In questo momento ci sono i nostalgici e ci sono i più giovani che si vivono i tempi per come sono, affidando la memoria solo ad archivi e supporti digitali sapendo che, quando vorranno, lì troveranno i ricordi. Ma questa diventa anche una forma di dipendenza… difficile ragionare su quello che succederà.

Che estate la attende?

Fino all’autunno sarò in giro per presentare il mio libro in una serie di appuntamenti, e farò qualche concerto. In più, sto lavorando al mio prossimo album, per cui ho un po’ di pezzi in lavorazione e sto cercando di trovare quello spazio protetto per registrare il disco. A questo, si aggiunge l’attività di autore per altri artisti: ho cominciato tardi a scrivere, ma da allora la scrittura è costante e quotidiana.

L’appuntamento di venerdì 10 giugno inizia alle ore 21.00 (biglietti disponibili presso la biglietteria del Cinema Mexico – intero € 5). Canto popolare è visibile anche in streaming su Corriere.it e sul canale La Milanesiana.

Foto da Ufficio Stampa P&D