«Creatività condivisa», manipolazione dell’informazione e nuove tecnologie: l’arte di Paolo Canevari, negli ultimi decenni, ha osservato la società e se ne è fatta specchio invitando sempre a un dialogo collettivo. Lo dimostra Dal Vivo, seminario di arti visive che attualmente l’artista sta tenendo all’Accademia Nazionale di San Luca di Roma: 28 studenti e sei mesi di corso, totalmente gratuito, basato su un «approccio libero».
«Non ho un compenso – ci dice Paolo Canevari – al contrario delle altre istituzioni che chiamano i docenti e sviluppano insieme a loro un’idea di corso pedagogico. In base alla mia esperienza, questo seminario è qualcosa di necessario che può dare altre opportunità a giovani artisti. Per me l’insegnamento non è solo legato all’educazione, ma a un’idea di creatività condivisa».
Per Canevari, «l’atto dell’insegnamento e la discussione dei lavori corale è un percorso che porta a un’entità: l’opera d’arte sospesa tra docente e studenti». Stimoli creativi, quindi, e dialogo collettivo generano qualcosa che un domani «sarà più concreto e reale, un’entità che è un’opera d’arte».
Paolo Canevari: nuovi linguaggi e nuove tecnologie
L’idea della collettività sembra, del resto, essere preponderante nelle azioni artistiche di Paolo Canevari. Anche in risposta a ciò che l’artista definisce «un ritorno ad un individualismo estremo e ad un edonismo sviluppato in maniera eccessiva dai social media». Oggi il mondo sembra popolato da «ponti di comunicazione globalizzati in tempo reale, ma anche da una chiusura su se stessi. – dice Canevari – C’è un’illusione di comunicazione, che rimane però un’illusione. La comunicazione reale non c’è e il dialogo collettivo è ancora più importante e creativo». Da un lato la minaccia di un’estrema alienazione, dall’altro la possibilità di sfruttare le nuove tecnologie come supporto per l’arte. In un’epoca in cui alla finestra dei sistemi di comunicazione si affaccia anche l’Intelligenza Artificiale.
«L’IA, così come le nuove tecnologie e i nuovi linguaggi degli ultimi 20 anni, sono interessanti. – commenta Canevari – I media hanno però anche dei limiti che spesso vengono superati molto in fretta. Credo quindi che l’adozione di mezzi ipertecnologici da parte di un’idea del fare arte sia relativa. Domani rischiano di essere già obsoleti. C’è una possibilità, ma anche un limite nella possibilità stessa. In arte non esiste qualcosa che supera quanto detto prima, come succede con la tecnologia. In arte si può tornare indietro e reinventare media e linguaggi».
La videoarte
È negli anni ‘90, di fatto, che Paolo Canevari si avvicina al linguaggio dei video da assistente di Nam June Paik, uno dei pionieri della videoarte. «Quando ero suo assistente – racconta Canevari – il video era elitario. Era un linguaggio che presupponeva produzioni ricche. Con il digitale, dalla fine degli anni ‘90, il problema si è dissolto e fare video è diventato semplice. L’opera però si complica: chi ha accesso a un linguaggio enorme, deve pur sempre far qualcosa che possa uscire fuori dall’ordinario e elevarsi concettualmente».
«Creare qualcosa che avesse un senso superiore alla moltitudine di immagini è stata la mia sfida. – continua l’artista – Ho approcciato il video in modo molto basico, con filmati semplici senza montaggio. La camera è fissa e il linguaggio è elementare. Spesso si sente dire da chi non è dentro l’arte Questo lo so fare anche io ed è il punto di partenza: creare qualcosa di complesso a livello concettuale con tecniche basilari».
I Monumenti della Memoria
Nel 2010, la radicalità della produzione di Canevari diventa estrema con la serie Monumenti della Memoria. «Una riflessione – ci dice l’artista – sull’idea di memoria condivisa. La mia è legata a un’estrazione geografica, a un privilegio di anagrafe, come direbbe Pier Paolo Pasolini. La cultura italiana ed europea in un dialogo con la tradizione genera immagini che appartengono alla memoria». Tradizioni ma anche elusione «della generazione di immagini venuta fuori a metà anni 2000 con il digitale»: «Fiorivano immagini a basso costo e illimitato. – dice Canevari – E anche oggi possiamo vedere immagini sul web in maniera costante e infinita. Instagram ne è un esempio. Questo entra in contrasto con la produzione artistica: gli artisti erano produttori di immagini e maestri della comunicazione, ma il loro ruolo è stato messo in discussione. I Monumenti della Memoria sono una riflessione sul valore dell’immagine: le non-immagini generano una riflessione ulteriore più profonda e poetica».
Monocromi e l’oscurità delle news
Mentre all’esterno le immagini diventano sempre più cacofoniche, Canevari propende per «una riflessione creativa». «Ho prodotto tantissimo fino al 2010, utilizzando simbologie riconoscibili. – ci racconta – Il mio lavoro si è ora radicalizzato, ho preferito andare in una direzione più complessa. La stratificazione concettuale dell’opera si è complicata e, da un punto di vista visivo, è meno facile».
Una radicalizzazione del pensiero, potremmo dire, attraverso Monocromi realizzati «imbevendo nell’olio motore esausto stampe antiche o quotidiani. L’olio motore è un materiale, fa riferimento al mondo industriale. Queste opere sono una riflessione sul concetto di inquinamento nella sua accezione più universale – dice Canevari – l’inquinamento della natura così come quello del pensiero, delle immagini e delle notizie. Imbevendo le pagine di giornali e stampe antiche, il risultato è un monocromo completamente nero che potenzialmente contiene immagini, parole, notizie non più visibili, che potevano essere riconosciute o lette. Inserisco il risultato in cornici barocche del ‘600 e ‘700. L’idea è quella di dare preziosità, attraverso il contorno, a qualcosa che ha un valore economico relativo. Non legato all’immagine che è negata e oscurata».
Dalla negazione delle immagini, dunque, alla propaganda ideologica: «Oscurare le notizie con questo processo diventa una riflessione sul potere delle news, dei sistemi di comunicazione e di come queste informazioni siano manipolate da un sistema di potere politico ed economico».