Al via il 7 maggio – presso lo Spazio Espanso di Palazzo Capizucchi – la mostra collettiva Artificialis. Voluta, curata e prodotta da EPVS, Bankeri, Veronica Montanino, Innocenzo Odescalchi, Silvia Scaringella, la mostra trasforma l’ex biblioteca dello storico palazzo in una grande Wunderkammer.
Fino al 24 maggio, gli spazi di Palazzo Capizucchi si popolano dunque di elementi fantastici che, in silenzioso dialogo tra loro, indagano e riflettono sul concetto di Artificiale. Ciascuno dei cinque artisti presenta due opere – realizzate appositamente per la mostra – sviluppando una propria visione del concetto di Artificialis. EPVS – nello specifico – propone Jungle e Flower, in cui approfondisce il concetto di artificio. «Parto dal paradosso dell’essere umano – ci dice l’artista – che è l’unico che riesce a prendere le materie prime e trasformarle. Rende il mondo invaso da queste materie plastiche che sono molto affascinanti, ma anche devastanti».
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Artificialis: le opere di EPVS
EPVS, attraverso l’aspetto giocoso, parla di ecologia. Usando materiali che non hanno nulla di naturale, come il plexiglas neon con cui crea un giungla psichedelica in Jungle e tessuti sintetici che poi vengono pesantemente schiacciati da barre di ferro in Flower, rappresenta la natura attraverso ciò che la distrugge, creando un ossimoro che si traduce in un allarmante verità.
«Cerco sempre di dialogare e usare il gioco per veicolare messaggi più seri. – commenta – In questo caso, con Jungle, ho esaltato le materie plastiche con questa mutazione di colore. Nello stesso tempo, però, è un allarme. Gli insetti sono un’elaborazione di quello che è il mutamento che sta avvenendo nel mondo, anche a causa dell’uomo». Nel caso di Flower invece, ad essere rappresentato è «l’effettivo sentire».
«Secondo me – chiosa EPVS – un po’ tutti devono cercare di veicolare. L’artista in questo è più sensibile e sente maggiormente questa urgenza. Al centro c’è sempre la natura e l’interazione con l’essere umano. La bellezza della natura viene schiacciata dalle barre di ferro e quindi da noi umani».
Intervista a cura di Marco Del Bene