Fotomaterismo, nuove tecnologie, ricerca sociale: Jacopo Di Cera ci racconta il suo lavoro, sempre in evoluzione.

loading

Dalla fotografia al fotomaterismo fino a progetti come Italian Summer, che immortalano la quotidianità dall’alto: il percorso di Jacopo Di Cera è artistico e sociale e non ha paura di arricchirsi con le potenzialità delle nuove tecnologie. Da Milano a Roma, girando poi l’Italia e il resto del mondo, Di Cera ha cercato storie poco note e rilevanti da regalare al pubblico. Una ricerca che lui stesso definisce «infinita».

Jacopo Di Cera e il fotomaterismo

Siamo nel 2015 e, quasi per caso, una serie di eventi porta Jacopo Di Cera alla realizzazione del progetto Fino alla fine del mare. «Il progetto fotografico, che è la prima parte del percorso, si esprime al suo meglio attraverso la materia. – ci racconta Jacopo – La fotografia viene applicata sopra la materia e insieme creano l’opera d’arte. Tutto è nato a Lampedusa osservando le barche dei migranti abbandonate sulla spiaggia. Dieci anni fa c’erano diversi barconi che venivano abbandonati dopo lo sbarco e, da lontano, erano un’immagine desolata. Avvicinandomi, invece, è cambiata la percezione di quello scenario. Vedevo texture e colori, aspetti astratti che suscitavano un’emozione contraria: quasi una paradossale bellezza».

Insieme a Massimo Ciampa, da questa dicotomia Jacopo Di Cera ha realizzato «un progetto autoriale di pura fotografia, fatto di parole chiave che riguardavano le partenze, di Ulisse o di un migrante». «Poi è nata l’idea di aggiungere alla fotografia la materia, in grado di magnificare e rafforzare il messaggio. – ci racconta l’artista – Ho iniziato a stampare direttamente su legno, partendo da quello della barca levigato con un lavoro di studio per capire quale fosse la stampa migliore. Queste opere venivano poi anche resinate, il che dava un significato molto forte di legame con l’acqua. Il progetto ha avuto un suo percorso, è stato esposto ed è stato ospite della Biennale, sopra la barca di Pier Paolo Pasolini. Ha raccontato un tema che è estremamente contemporaneo e di cui cerchiamo strade: lo fa però attraverso la disumanizzazione, eliminando l’elemento umano che di solito è sempre molto protagonista». 

L’importanza dello studio sociale

C’è dunque uno studio sociale dietro gli scatti di Jacopo Di Cera, che del resto «fa parte di quasi tutte le forme espressive e artistiche». «Non esiste un’arte fine a se stessa. – precisa l’artista – Ci sono temi che toccano, feriscono o fanno gioire l’artista. Sballottolano, per così dire, l’animo per portarlo a forme espressive». E con questo approccio sono nati i lavori successivi di fotomaterismo di Di Cera. «Uno dei più forti – ci dice – è legato al terribile terremoto di Amatrice e Accumoli. Sono stato lì qualche giorno dopo e ho vissuto le macerie dall’interno. Anche in quel caso, la materia mi ha aiutato a esprimere il silenzio frastornante del centro del paese che era il cuore dei fuoriporta romani. Ho ritratto al meglio il rumore dell’assenza». E ancora Milano-Roma, con cui l’artista rappresenta «la forma del pendolarismo».

«Per sei anni – racconta – ho scattato sempre dallo stesso punto del treno. Il punto di vista era fisso, ma fuori cambiava il mondo. Il film che c’era fuori era di un dinamismo frastornante, nonostante la tratta fosse la stessa. Avrò 50 foto dell’attraversamento del Po e non c’è una foto uguale all’altra. Le immagini venivano poi stampate direttamente sul finestrino del treno: l’opera d’arte era quindi un finestrino ed era un richiamo alla necessità di guardarsi dentro e nello stesso tempo fuori. I pendolari ormai sono assorbiti dal digitale e dimenticano che spesso è una fortuna fare tratte come queste. Dobbiamo tornare alla socializzazione, almeno con il mondo che ci regala girasoli a fine giugno nel nord del Lazio. Durano 20 giorni e, se non li guardi, non li vedi più. Fermiamoci un secondo».

La tecnologia e il progetto Italian Summer

Non solo materia. Jacopo Di Cera ha sfruttato al massimo le nuove tecnologie anche per ottenere nuovi punti di vista. È il caso di progetti come Italian Summer che – con l’uso di un drone – raccoglie foto dall’alto immortalando una percepita parità sociale.

«Si dice sempre che è l’arte a trascinare la tecnologia o il contrario. – dice Jacopo – Io credo che funzioni più come una pallina di tennis all’Internazionale. A me la tecnologia ha regalato un assist a una curiosità che avevo dentro e ad una necessità di volo. Nell’arte digitale si chiama la genesi e, nel mio caso, è una foto scattata a Procida». Di Cera si trovava infatti sull’isola campana e ha notato che «a pranzo c’è l’usanza di avvicinare le barche e passarsi il caffè o la mozzarella. È un momento di estrema socialità. Quindi ho tirato su il drone e ho visto queste barche ammassate. Secondo me c’era tanto da raccontare, usando elementi innovativi». Era il 2016 e, ad oggi, di scatti dall’alto Di Cera ne ha raccolti parecchi.

«È un punto di vista diverso – dice – che stimola il cervello e ha anche un significato simbolico. Perché lo scatto è perpendicolare e in orari con ombre corte? Perché a me non interessa che la foto sia bella, ma che sia una ricerca sociale». Italian Summer immortala, ad esempio, l’italianità in vacanza vista dall’alto: «La perpendicolarità forzata uccide la prospettiva e siamo tutti sullo stesso piano. Siamo microcosmi all’interno di quella foto. Questa parità sociale ci permette di vedere ciò che osserviamo con distacco e un forte realismo. Non c’è giudizio sul tema. Anche lo yacht di lusso dall’alto non ha un effetto Wow, ma è solo una piattaforma con un omino piccolo che prende il sole. Non hai il senso di ricchezza infinita».

Rosignano e le integrazioni video

In questo filone – «infinito» – rientrano gli scatti dall’alto di Rosignano Solvay, intitolati Fake Heaven. Un progetto con «tante chiavi di lettura». «Dall’alto sembra un paradiso caraibico, ma sappiamo che è generato dagli scavi della Solvay. Sono sostanze chimiche e il territorio è sicuramente anomalo. – racconta Jacopo – Dall’alto vedi il canale di scolo che produce questo biancore. L’acqua sembra quasi latte sul quel pezzo di costa, ma dal basso non lo vedi. La foto ti dà un elemento di socialità e parità. Io vado ogni anno perché è sempre pieno e mi piace indagare l’aspetto di rivisitazione del territorio e di studio e racconto. Tuttavia, non c’è una storia da raccontare ovunque».

Il progetto si è espanso al punto da racchiudere anche immagini animate. «L’arte digitale ha permesso a molti artisti di poter valorizzare elementi. – commenta infatti l’artista – Nel mio caso, ha aggiunto un valore alla parte video che, fino a ieri, non aveva un valore di mercato. Grazie all’arte digitale, invece, in pochi anni ha subìto evoluzioni importanti. Oggi espongo video che sono loop, mantenendo lo spazio e le interrelazioni tra i soggetti protagonisti. Rappresentano un’infinità e generano un’emozione infinita. Dietro questo percorso c’è volutamente il desiderio di raccontare storie che noi italiani non conosciamo». Nasce così A’ Chiena, immortalata a Campagna vicino Salerno.

«Lì esiste la tradizione secolare di deviare il corso di un torrente – racconta Di Cera – così l’acqua entra nel paese e lo pulisce. Oggi questa tradizione è più folkloristica e i cittadini si prendono a secchiate per un’ora. Sono scene fortissime dall’alto. A me affascina poter raccontare questo o, ad esempio, il Palio Marinaro dell’Argentario. Lì, quando una delle barche arriva al traguardo e vince, le persone la assaltano e la fanno inabissare. Oppure c’è la Marcialonga, una delle gare più importanti d’Europa. O ancora lo scudetto dell’Inter come quello del Napoli, anche se sono due feste molto diverse. A Napoli ricordo che ero sulla collina di San Martino in attesa del 90esimo: quando è finita la gara, è partito un suono che sembrava un crescendo e alla fine è esploso. Quel climax mi commosse, anche se non tifo Napoli. Da quel momento decisi di campionare tutto».

L’Intelligenza Artificiale

Proprio a proposito di nuove tecnologie, chiediamo a Jacopo Di Cera un’opinione sull’intelligenza artificiale. «Credo che sia un ciclo che ogni volta attraversiamo. – ci risponde – Ho iniziato a studiare nel 2005 e, all’epoca, c’era l’avvento del digitale. PhotoShop iniziava a diventare uno strumento non banale e la domanda era la stessa. Eppure ci ha portato a un’evoluzione, a un’apertura di possibilità infinite e importanti. Oggi, grazie alla foto digitale, abbiamo più contenuti e più fotografi. Possiamo controllare tante cose, dalla qualità alla varianza, e le possibilità sono aumentate. Qual è il lato oscuro? La pollution, l’overloading, l’inquinamento di immagini. Di contro, si sono creati mercati importanti che ci hanno permesso di fare cose».

Anche l’IA, in questo senso, può superare alcuni confini. «Possiamo realizzare un calendario con Frida Kahlo o arrivare a ciò che è impossibile fare. – continua Jacopo – Ho visto una mostra bellissima di Phillip Toledano a Monopoli quest’estate, in cui raccontava l’America degli anni ’50. Prendeva le notizie e ci creava una foto in bianco e nero di ottimo livello. Si capiva che erano dei fake, ma quel fake era guidato. Certo, dobbiamo iniziare a decifrare cosa è persona e cosa è macchina, ma PhotoShop già lo sa. Già c’è un percorso di autenticità. Io vedo potenzialità infinite, guidate come tutte le cose. Se ha un senso autoriale, che problema c’è?».

Foto per gentile concessione dell’artista

Revenews