Nella splendida cornice del Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana di Roma, incontriamo Tiziana Cera Rosco.

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Nella splendida cornice del Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana di Roma, Tiziana Cera Rosco ha presentato il suo ultimo lavoro Morfogenesi: la materia organica come esperienza artistica. Un’opera frutto della sua residenza artistica all’interno del Giardino Botanico di Palermo dove, unica artista al mondo al aver avuto questa possibilità, ha vissuto per un interno anno in una casa-studio-chiesa.

«L’orto mi ha cambiata profondamente, perché ho sempre avuto a che fare con posti che non erano circoscritti come boschi, foreste, territori. – dice l’artista ai nostri microfoni – L’orto invece è un posto coloniale, dove le piante che devono essere presenti vengono scelte. È quindi anche un posto molto violento. Questa è un’energia che non viene mai messa in luce, perché la qualità della bellezza sovrasta la qualità dell’energia che c’è. Dopo il Covid, avevo bisogno di stare al cospetto di energie complesse. E ho imparato a riconoscere le piante, studiarle, avervi a che fare giorno e notte, confrontarsi con la diversa temperatura… sono tutte cose che per una performer condizionano completamente quello che può essere un lavoro».

Tiziana Cera Rosco: le opere realizzare con melograno e alghe

E così Tiziana Cera Rosco è passata dallo studio della Biologia a quello della Botanica, regalandosi «la possibilità di riformulare il mio stesso linguaggio attraverso le nuove cifre con cui mi trovavo ad avere a che fare». «Sono diventata una grande accumulatrice. – aggiunge – In questa casetta c’era una sorta di pellegrinaggio, perché tutto l’orto vi era finito dentro».

Morfogenesi: la materia organica come esperienza artistica si compone di opere realizzate con melograno ed alghe. Due elementi inusuali e straordinari che qui prendono una nuova vita. «Le alghe – dice Tiziana Cera Rosco – sono state un materiale inaspettato anche per me. Quando sono entrata all’Orto Botanico di Palermo, ero già innamorata degli alberi, della pelle, delle radici ed ero convinta che avrei lavorato con quegli elementi. Invece, quando ho preso casa nella casetta che è stata poi il mio studio e il mio habitat, alle spalle c’era un lago e io camminavo sempre circumnavigandolo. Il lago era pieno di alghe e, un giorno, mi è apparso un volto. Da lì ho pensato che questo materiale così ambiguo, così inusitato, poteva essere il mio materiale di eccellenza. Ho iniziato a studiarlo, raccoglierlo, capire come poterlo maneggiare. E da lì poi è venuto fuori un lavoro quasi più grande di me».

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Un lavoro incredibile, che – nel Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana – assume una nuova luce. In un luogo senza tempo, il connubio tra l’arte di Tiziana Cera Rosco e le ombre dello spazio romano crea un dialogo unico. «Qui il pretesto è stato un libro – racconta l’artista – perché la biblioteca ha un erbario molto antico. C’è quindi un pretesto culturale che ci ha permesso di dialogare. La verità è che per me questo posto è commovente. Tutto quello che vedo attorno, ogni volta che entro in una biblioteca, è un frutto. Un altro tipo di orto e un’altra cultura. A me piace pensare che ogni biblioteca sia un bunker da cui la vita può essere ricostruita, riletta. Ci può dare un codice attraverso cui riprendere la nostra storia».

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