Intervista a Enrico Ascalone e Mansur Sajjadi, direttori degli scavi di Shahr-i Sokhta, la ‘città bruciata’.

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Nella zona sud-orientale dell’Iran si trova Shahr-i Sokhta, La città bruciata. Non solo fortezze, non solo guerre, non solo apparati difensivi per questo sito patrimonio dell’UNESCO già nota come la Pompei d’Oriente. Secondo le ultime evidenze scientifico-archeologiche emerse grazie alle ricerche di Enrico Ascalone e Mansur Sajjadi, fu abitata nell’Età del Bronzo da un popolo cosmopolita e pacifista, una “contemporanea” civiltà interculturale, matrilineare non frutto di un’unica élite ma in dialogo con il mondo, la cui esistenza, oggi, racconta una storia di pace e interscambio culturale. Basti pensare al ritrovamento di una scimmia macaco all’interno di una tomba, alla tavoletta protoelamita, o alla protesi oculare rinvenuta nel 2006.

«Le scoperte sono numerose e sono per lo più di tipo storico. – commenta il Prof. Ascalone Prof. Enrico Ascalone, dell’Università del Salento, direttore della missione italiana a Shahr-i Sokhta – C’è una ridefinizione degli orizzonti cronologici che adesso alzano le datazioni di circa mezzo millennio rispetto a quanto si pensava in passato. Di recente, nel 2021, la scoperta di una tavoletta ha permesso di conoscere una serie di dinamiche relazionali che il sito ebbe con le aree più occidentali, in particolare con la Mesopotamia».

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Mansur Sajjadi e il potere di uno scavo

«Per un archeologo ogni momento dello scavo è emozionante perché scavando in ogni angolo di un sito si possono incontrare delle novità, informazioni che magari prima non aveva. – aggiunge Mansur Sajjadi direttore della missione iraniana degli scavi – Per me personalmente il ritrovamento dell’occhio artificiale della signora 6705 è stato molto emozionante perché non abbiamo trovato solo un oggetto, ma comprendiamo anche la conoscenza di quella società della scienza. Così come il ritrovamento in un’altra tomba di una scimmia, un macaco, fatto con l’aiuto dei colleghi dell’Università di Salento e della Dott.ssa Minniti che ha riconosciuto la tipologia di scimmia. Tutto questo ci può dare delle informazioni sugli scambi commerciali e anche sui rapporti con le altre zone del mondo Antico».

«I calcoli che abbiamo fatto sui reperti esistenti a Shahr-i Sokhta ci dicono che sono milioni e milioni i reperti archeologici dentro questo sito, che è enorme. Per cui, ogni volta ci possiamo aspettare di trovare una novità. – continua – Se non avessimo scavato nella tomba della signora 6705 non avremmo scoperto l’esistenza di una cosa del genere».

La collaborazione tra Enrico Ascalone dell’Università del Salento e Iranian Center for Archaeological Research

«Abbiamo collaborato con i nostri colleghi iraniani in armonia; un tipo di relazione fruttifera che ha portato a numerose pubblicazioni (oggi si contano più di 150 pubblicazioni tra monografie e articoli scientifici) – sottolinea il Prof. Ascalone. – Un progetto arrivato all’ottavo anno che vede coinvolti con l’Università del Salento e l’Iranian Center for Archaeological Researche. Con loro condividiamo non soltanto la produzione scientifica ma anche le esperienze di vita sul campo».

Foto: MAIPS (Multidisciplinary Archaeological International at Shahr-i Sokhta) via Ufficio Stampa HF4

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