Fabio Abbreccia, artista, e Fabio Maietta, curatore, ci raccontano la mostra ‘Supersonic’ presso Iconic Art System.

Fino al 26 aprile 2025 – presso la Galleria d’Arte Iconic Art System di Caserta – Fabio Abbreccia espone le declinazioni infinite della propria arte nella mostra Supersonic. «I dipinti sono stati tutti realizzati per la mostra. – ci dice subito Abbreccia – Quando mi hanno proposto un evento personale dopo Crash mi sono interrogato su che tipo di esposizione andare a fare. Non avevo voglia di fare un’esposizione con dipinti già visti, è una sciocchezza perché c’è chi li vede comunque per la prima volta, però avevo voglia di fare qualcosa di nuovo e pensato organicamente da zero».

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E così Supersonic diventa un raccoglitore di diverse suggestioni, tutte recentissime: dipinti di grandi e piccole dimensioni, disegni di 2 metri o su fogli A4 e un’installazione video. «Volevo creare un blocco organico di immagini che, in qualche modo, andassero a coprire le mie attitudini. – precisa l’artista – Tanto è vero che non c’è solo una differenza di medium, ma anche una differenza di soggetti. È disorganica in questo senso, non c’è piena simmetria. L’idea era quella di creare un elastico da tendere il più possibile, anche se non sono certo di esserci riuscito».

«Supersonic è la citazione di una famosa canzone degli Oasis che mi accompagna nell’ottica del concepire l’immagine. – aggiunge poi Abbreccia – L’ha sempre fatto e inoltre, oggi più che mai, l’immagine diventa supersonica. È sempre stato impossibile stare dietro all’immagine, ma oggi è impossibile logisticamente».

Fabio Abbreccia e la violenza del colore

Già in occasione di Crash – l’evento di Loffredo Foundation for the Arts and Inclusion tenutosi alla Reggia di Caserta il 20 marzo – avevamo avuto modo di ammirare un’opera di Fabio Abbreccia. «Un dipinto non molto lontano dai dipinti di Supersonic. – precisa l’artista – L’ho finito pochi mesi prima, l’ultima mano di vernice l’ho data a dicembre. È una serie a cui sto lavorando, ma più che una serie pensata è un riproporsi di questo soggetto. La serie si intitola Il gesto di Venere, perché richiama il classico gesto di coprirsi delle Veneri della pittura. Ne ho realizzati quattro da un anno a questa parte. La mia idea è mantenere lo status dell’immagine cambiando però la modella. Al cambio di soggetto corrisponde un cambio di energia, perché lo stesso gesto ripetuto da persone diverse ha uno stato emozionale e sensoriale differente».

Anche esplorando la mostra Supersonic, di fatto, troverete un dipinto appartenente alla serie. E potrete ammirare quanto il colore per Fabio Abbreccia sia espressione. «Ho un particolare difficoltà a rapportarmi con i colori, un deficit nel quotidiano. – ci spiega – Per me il colore è chiuso nel dipinto e nelle opere in generale. Dal punto di vista produttivo e creativo, lo metabolizzo poi in altri media. Il colore non esiste nella realtà, è un impulso che il cervello traduce. È luce che diventa uno stimolo cromatico. Per me è violento, ma del resto già credo che l’arte sia figlia della tracotanza. Non si può affrontare l’arte, se non nella modalità di Icaro: sapendo quale sia la destinazione».

Il colore – nel mondo artistico di Abbreccia – «ti cade addosso e, in una sorta di doppio salto mortale, torna a essere interiore. Di sicuro il nostro clima ha pesato tanto in questo senso: Van Gogh era estremamente fangoso e marrone finché ha vissuto in Olanda e poi si è trasformato nell’incontro con la luce francese. Essendo napoletano, la luce ha influito fortemente nel metabolizzare i colori che però non restituisco mai nella loro versione realistica e naturalistica. Cerco sempre estensioni iperboliche del gesto e del colore, sia nella pennellata che nella sua materia». Il contrasto è tuttavia – per l’artista – alla base dell’intera creazione. «Laddove – conclude – la resa del dipinto spinge il senso della forma, la resa del colore spinge la qualità del dettaglio».

L’installazione video a Supersonic

Dicevamo che – nella mostra Supersonic – c’è spazio anche per un’installazione video che mostra quanto l’esplorazione sia importante per l’artista. «Un dipinto – dice – non è quasi mai solo immagine, ma è un oggetto fisico. L’incontro è dal vivo. In un’epoca iper-digitalizzata, c’è il grande problema dell’immagine nell’epoca della sua riproduzione che Walter Benjamin già affrontava, ma non sostituisce l’incontro con l’originale». Media differenti inducono dunque «una connessione più naturale». «Se il disegno mi regala immediatezza, l’installazione video è per me un passaggio naturale», dice Abbreccia.

«Sono anche docente da 11 anni e insegno, tra le altre cose, Pittura Digitale. – ci spiega – Devo interrogarmi sulla funzionalità della pittura digitale e sulle sue diversità procedurali. Ho voluto quindi implementare questa immagine-video che rappresenta il farsi di una versione della Venere di Urbino di Tiziano. Per me è una sorta di dipinto iconico, l’ho visto tante volte, l’ho ridisegnato e ha la sua storia aneddotica. All’epoca era scandaloso, Giorgio Vasari lo rese accettabile e fu infine ripreso da Manet per la sua Olympia. Il video si interrompe e da Venere di Urbino diventa Olympia per essere poi cancellato alla fine. Non ho più il file fisico: il video è l’opera al 100%, non è solo la sua resa. Non c’è altra opera al di là del video».

Giuseppe Loffredo, Fabio Abbreccia e Fabio Maietta

Fabio Maietta e la Loffredo Foundation for the Arts and Inclusion

Una mostra – Supersonic – che ha incontrato un successo di pubblico sorprendente. Ce lo racconta Fabio Maietta, curatore. «Sono un avvocato prestato al mondo dell’arte e ci muoviamo in senso positivo per creare movimenti virtuosi in una terra in cui non è immediato generare interesse. – ci dice – Vogliamo far sì che l’interesse non si declini in un aperitivo, ma che sia attivo. Pino (Giuseppe Loffredo, ndr) ci ha dato tante opportunità nell’ultimo mese e, da casertano, è motivo di orgoglio. Pino è un mecenate dell’era moderna, perché l’arte ormai è un mezzo per raggiungere obiettivi economici. Per noi è però un interesse secondario. L’arte è un momento di aggregazione e socializzazione. Sono gli incontri che fanno la differenza in ogni ramo».

«L’artista deve fare l’artista ed essere libero di esprimersi come vuole, ma intorno deve esserci una macchina che crei un prodotto che sia anche mezzo di comunicazione. – prosegue – Il vernissage di Supersonic è stato un successo. Sono venute oltre 250 persone che, per Caserta, è numero molto considerevole. Anche se la Galleria si trova in una zona di passaggio, parliamo di un bacino che non è quello di Milano, Napoli, Roma».

«Gli scopi della Fondazione sono nobili. – conclude – Sono convinto e mi auguro che siano i primi eventi e che questo sia il quartier generale. È facile inaugurare una realtà in una città con un appeal particolare, ma qui il pubblico è un po’ pigro. Non perché disinteressato, ma perché non abituato. Il primo principio dell’economia è che la domanda si adegui all’offerta: l’obiettivo mio e di Giuseppe è creare un’offerta che generi curiosità. Se proponi, le risposte arrivano». 

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