È in libreria il romanzo di Igor De Amicis ‘‘O Regno’, storia che unisce attualità e ispirazione classica. Le parole dell’autore.
Dirigente Aggiunto di Polizia Penitenziaria, Igor De Amicis è vicecomandante in un carcere di massima sicurezza. Con queste premesse può suonare insolito ritrovare il suo nome in libreria nel reparto romanzi, ma la scrittura fa parte della sua vita fin dall’infanzia. La sua ultima fatica letteraria si intitola ‘O Regno (Salani editore) e raccoglie una storia in cui dettagli ispirati dalla cronaca incontrano ispirazioni squisitamente letterarie (vedasi alla voce tragedia greca) con una buona dose di musica. Quella che ha accompagnato la scrittura del libro e quella che ama il protagonista, ‘o re, che dopo cinque anni di latitanza fa rientro nel suo quartiere.
Come nasce l’idea di questa nuova storia?
La scintilla da cui è nato questo romanzo mi è venuta durante il mio lavoro come vicecomandante di un carcere di massima sicurezza. Qualche anno fa, una compagnia teatrale stava rappresentando L’Orestea coinvolgendo i detenuti. A un certo punto ho visto uno di loro alzarsi per andare via e, quando mi avvicinai a lui, mi disse che non gli piaceva il personaggio di Agamennone. Aveva “il destino del capretto”.
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La letteratura greca che incontra la cronaca di oggi.
Sì, proprio da quel fatto mi è venuta l’idea di prendere elementi della tragedia greca e ambientarli in storie di camorra. Non a caso il romanzo si apre proprio con una vedetta napoletana di quartiere che vede dei fuochi d’artificio che annunciano il ritorno di un boss dalla latitanza. Lo spunto è stato quello di mischiare tragedia e camorra.
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Che rapporto instaura con i personaggi delle sue pagine?
Nessuno dei personaggi nei miei romanzi corrisponde a un singolo detenuto ma ci sono tanti elementi che si sono incontrati e uniti. Tante piccole cose che creano un substrato fertile tale per cui il personaggio finisce poi per muoversi da solo costruendo la sua storia.
I detenuti, secondo la mia esperienza, vanno sempre trattati con rispetto, massimo, e professionalità, perché al di là di quello che hanno fatto fuori da quelle mura sono persone.
Ma c’è un personaggio in cui si identifica più di altri?
Vorrei sentirmi Achille… ma finisco per immedesimarmi in Ottavio. Mi sento molto vicino a lui perché tutte le sue azioni hanno una motivazione profonda che magari non si capisce all’inizio.
A partire dall’interesse per la musica.
Eh sì. Don Ottavio ha una passione per Bach che è una mia grande passione, inoltre volevo caratterizzare in maniera particolare questo personaggio. Se avessi scelto la musica neomelodica sarebbe stato scontato per un ambiente come Napoli, così come l’opera avrebbe fatto troppo Il padrino… e allora ho pensato a Bach perché lo conosco bene. Così, ho inserito nel libro diversi brani che vengono spiegati nella parte di riferimento del romanzo.
Ma la musica accompagna anche la fase di scrittura?
Ovviamente ho scritto il libro con il sottofondo dell’opera omnia di Bach dalla prima all’ultima pagina. Con le mie cuffiette nelle orecchie e il cd infilato nel lettore.
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Come valuta, invece, certa rappresentazione della criminalità nelle serie tv degli ultimi anni?
Alcune dinamiche del potere sono rappresentate bene, per esempio esistono davvero determinati rapporti parentali. Ma certi aspetti della storia sono esasperati. D’altra parte, onestamente, ho incontrato soggetti che sembrano usciti da un film tanto che sullo schermo sembrerebbero poco plausibili. E invece sono reali.
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Poi ci sono le donne. Che caratteristiche deve avere la donna del boss?
Dalla mia esperienza, nascendo in un certo ambiente se le donne crescono in determinate famiglie sono già soldati inseriti in quel contesto. Si nasce e si cresce con una serie di calori ribaltati rispetto all’ordinario e il carcere diventa un elemento inevitabile nella vita. Provenendo dal quel substrato sociale, le donne sono inquadrate tanto quanto gli uomini. Ci sono donne boss – mogli o sorelle – che nella gestione concreta del clan non hanno nulla da invidiare agli uomini, né come capacità di gestione né in termini di efferatezza e spietatezza.
Quando la scrittura è entrata nella sua vita?
Fin da ragazzino avevo il sogno di scrivere storie, da quando avevo nove o dieci anni. E ho sempre avuto la passione per i libri: sono collezionista di volumi antichi e se non fosse per mia moglie sarei già sul lastrico! Ho iniziato a scrivere quasi per gioco, poi lungo la mia strada ho incontrato persone che leggendo quello che avevo scritto mi hanno spronato a continuare. E continuerò a scrivere indipendentemente da quello che faranno i miei libri, cosa che faccio con una grande disciplina. Scrivere è la mia valvola di sfogo anche se molto delle trame è tratto dalla mia professione. Quelle due ore serali in cui mi dedico alla scrittura sono qualcosa di completamente a sé e voglio tenere ben separate le due professioni.
Foto da Ufficio Stampa Salani Editore