on basta parlare a tempo su una base in loop per fare rap”. Parte da questa considerazione la Masterclass con Gué ha voluto presentare il nuovo album, ‘Madreperla’, in uscita venerdì 13 gennaio. Davanti all’attenta e silenziosissima platea del Teatro della Triennale a Milano, il rapper ha introdotto l’atteso lavoro prodotto da Bassi Maestro con un incontro dedicato ai comandamenti del rap. Nella sua lezione, Gué regala non solo un quadro delle ispirazioni che hanno guidato il disco in arrivo ma un piacevolissimo affresco della scena di ieri e di oggi, con uno sguardo sul domani.
Cosa serve, allora, per fare bene il rap? I fondamentali comprendono anzitutto il compromesso tra lyrics e musica, ovvero tra i testi e la musicalità, e l’attenzione allo storytelling. “Usare immagini per portare l’ascoltatore dentro la tua storia come in un film è, per me, la cosa più goduriosa; è un elemento che uso sempre, anche se non c’è una vera e propria storia. È romanzare sempre un po’ la realtà e in questo album ce sono vari, anche perché esistono infinte formule e beat su cui si può parlare di qualunque cosa. Chiariamolo subito, però: vogliamo del rap tecnicamente ineccepibile su un beat che spacca, non necessariamente con testi da Premio Pulitzer né per salvare il mondo”.
La regola aurea del rap
Ma se c’è una regola aurea per Gué è quella di “parlare di quello che volete, anche dell’orto, ma che sia qualcosa che avete visto o vissuto. Non qualcosa che vi hanno raccontato, altrimenti è come dire di conoscere una strada avendola vista su Google Maps. E sfatiamo anche il mito linguistico, bisogna parlare come si mangia ovvero parlare di qualcosa che si conosce in modo più o meno esplicito”.
Servono, quindi, prosegue il rapper, “realness, talento, un vocabolario e una voce propri, capacità di fare le hit, carisma e personalità da non confondere con l’essere personaggio. Oggi si tende a uniformare un po’ tutto guardando agli USA e alla Francia. Ma se andasse solo il personaggio faremmo tutti gli influencer”.
“Ho avuto la fortuna di vedere tanti cambiamenti – riflette a questo punto Gué – Fino a qualche anno fa il massimo era dare in TV o sulla cover di un giornale: anche tua madre a quel punto capiva che fai un lavoro e che sei arrivato. Adesso le nuove cover sono quelle delle playlist di Spotify, e quando ci penso è bello aver vissuto quel momento e essere ancora qui. Essere punto di riferimento di diverse generazioni è il goal più bello”.
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Infine, una riflessione sull’importanza dell’identità musicale. “La fortuna e il privilegio che ho, dopo anni di semina, è la libertà di poter fare un po’ quello che voglio. La cosa difficile è rimanere influente, fare della musica che sia trasversale e transgenerazionale, che soddisfi il feticista dell’hip hop ma avere un singolo che gira bene nelle radio. Sarebbe difficile per me fare il pop, e non è neppure un genere che mi piace. Mi piace fare la hit, certo, ma se noti anche i miei singoli in radio sono black, questo è il mondo che in cui mi sento a mio agio. Ci vuole coraggio? Forse ma credo che molti artisti anche del mio genere a un certo punto vengano afflitti dalla megalomania.
“A me piace fare questo e sono il king del mio genere”, dichiara a Gué. “Non aspiro certo a condurre Sanremo o a fare politico. Più che coraggio credo serva talento e sapersi giostrare bene nel tuo genere”.
Le collaborazioni e i campionamenti in ‘Madreperla’
Entrando più nel dettaglio di ‘Madreperla’, la tracklist sciorina svariate collaborazioni. “È stato un po’ un esperimento sociale” racconta Gué. “In questo album ci sono artisti di ogni genere musicale dai 19 ai 45 anni, è stata una bella impresa. La più giovane è Anna che ha solo 19 anni ed è la rapper donna più forte che abbiamo. Ha saputo qualificarsi partendo in modo un po’ puerile e arrivando ad avere credibilità che hit e pezzi che spaccano. Insieme Sfera si si sono messi a servizio del nostro un suono ispirato agli Anni Duemila, con rispetto e professionalità. Hanno fatto un lavoro fantastico. Lo stesso hanno fatto Paky e Massimo Pericolo, che è uno dei talenti di scrittura secondo me più bravi. Nel caso del brano con Marracash e Rkomi, quest’ultimo è retrocesso da suo mondo indie pop e ha fatto una strofa sempre melodica ma con delle barre rappate. Quindi anche lui è stato al gioco”.
“Mahmood, invece, ci ha alzato l’asticella dell’album che ha dei momenti trivella lui dà respiro. Benny The Butcher, del collettivo americano Griselda, ha collaborato per un featuring in cui tra l’altro sono stato proprio a New York con loro. Infine, c’è Napoleone, un new talent dell’indie di Napoli”.
Capitolo samples, altro caposaldo del rap. “In questo disco la cosa più divertente è stato far vedere anche il mondo da cui venivamo, cioè oltre alle rime far capire quello che sai”, spiega Gué. “E lo abbiamo fatto grazie anche ai campionamenti. Abbiamo campionato dai giamaicani ai cantanti hip hop americani degli Anni Ottanta fino ai musicisti italiani, facendo anche scelte in controtendenza o bizzarre. Per dire, abbiamo campionato Ron”.
Al fianco di Gué in quest’impresa c’è Bassi Mastro che il rapper è fortunatamente riuscito a coinvolgere. “Abitiamo incredibilmente vicini – racconta l’artista – ci siamo incontrati tante volte e io ho sempre avuto voglia di far un progetto in cui potessi esprimere al meglio, senza pensare di dover soddisfare chissà chi. Questo disco è un sogno: rappo quello che voglio e campiono quello che voglio. Quindi, volevo un producer con cui mi trovassi bene e il puzzle si è composto con Bassi con cui alla fine siamo riusciti a creare l’alchimia”. Il risultato è ‘Madreperla’, un album che sa parlare alle generazioni.
Foto da Ufficio Stampa Coco District