Dalla copertina del nuovo album alla fotografia di Francis Delacroix: tutta l’arte di ‘Volevo essere un duro’. Le parole del cantautore.

Quello di Lucio Corsi – e del suo nuovo album, ‘Volevo essere un duro’ – è un mondo popolato di personaggi che si muovono lungo il filo della stramberia. Che abitano un’umanità profondamente lontana da certe standardizzazioni a cui ci siamo abituati. Con un piede nella realtà e uno nella fantasia, tra un presente da scoprire e un passato che forse abbiamo dimenticato troppo in fretta. L’arte di Corsi si muove tra note disegnate e immagini sonore, in una sinestesia che tocca tempi e sensibilità profondissime.
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Anche per questo progetto discografico, il cantautore conferma la tradizione di affidare alla madre Nicoletta Rabiti – pittrice per diletto – la copertina. “Mia madre dipinge per hobby da una vita”, ci racconta, aggiungendo a proposito della nuova cover che “il quadro presenta sempre lo stesso soggetto degli ultimi due dischi. Mi piaceva fare questi dischi con lo stesso soggetto, almeno fino a qui poi vediamo il prossimo”.

La copertina del nuovo album
L’opera è senza titolo e risale al 1991 (“io sono andato nel ‘93”, specifica Corsi), selezionata quindi dall’artista in continuità con il suo percorso precedente. “Intanto c’è lo stesso soggetto e lo trovo in linea con il progetto dei miei ultimi tre dischi. Tutto è partito con questa ballerina dai capelli rossi sulla copertina di ‘Cosa faremo da grandi?’, un quadro che avevo in casa fin da bambino per cui mi è piaciuta l’idea che, dopo essere stato sotto i miei occhi da una vita, è diventato un disco… è diventato un’altra cosa, ci tengo”.
L’opera è senza titolo e risale al 1991 (“io sono andato nel ‘93”, specifica Corsi), selezionata quindi dall’artista in continuità con il suo percorso precedente. “Intanto c’è lo stesso soggetto e lo trovo in linea con il progetto dei miei ultimi tre dischi. Tutto è partito con questa ballerina dai capelli rossi sulla copertina di ‘Cosa faremo da grandi?’,un quadro che avevo in casa fin da bambino per cui mi è piaciuta l’idea che, dopo essere stato sotto i miei occhi da una vita, è diventato un disco… è diventato un’altra cosa, ci tengo”.
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“Poi – prosegue l’artista – penso che questi quadri vadano a braccetto con il tipo di canzoni. Almeno per me, mi sembrano in linea con la musica e con le cose che racconto”. Sul significato dell’opera, invece, i toni di fanno volutamente più sfocati: “ognuno deve trovarsi la sua interpretazione. Nemmeno io chiedo mai a mia madre cosa significhi un quadro per lei, perché penso che sia giusto che debba parlare lui, come le canzoni. Poi le spiego sempre in realtà, quindi un po’ mi contraddico, però ci trovo del fascino quando non so che cosa voleva dire l’autore, no? Amo trovare una storia all’interno di quella canzone, coi miei riferimenti, con le mie esperienze, coi ricordi che ho. Questa è una forza della musica e di tutte le forme di espressione”.
Da Ligabue ad Alessio Vitelli: l’arte nei lavori di Lucio Corsi
Accanto alla riproduzione del quadro di Rabiti, campeggia sul palco della conferenza stampa un ritratto di Lucio realizzato da Alessio Vitelli. “È un grande illustratore che si divide tra Tokyo e Roma e con cui io e Tommaso Ottomano lavoriamo da tanto. È un mago, disegna a mano con l’Uniposca, ora lavora anche col computer, ed è un vero talento”.
Anche in questo caso, dunque, il potere evocativo è particolarmente forte. “L’arte mi ispira insieme alle storie che raccolgo in giro, quelle che mi narrano i miei amici, che sento, che mi immagino… ci sono anche i paesaggi che vedo, le situazioni, tutto, che poi alla fine va a finire dentro ciò che scrivi. Tutto può essere di ispirazione e, sicuramente, lo sono l’arte visiva e i dipinti”.
Per esempio, amo i quadri di Ligabue, artista che se ne andava in giro sulla moto mettendosi la tela sulle spalle una volta finita l’opera, per farla vedere al paese. È qualcosa di toccante, è bellissimo. Partiva con la moto e, una volta finito il quadro, girava per i paesi lì intorno per mostrarlo. E poi volava con la fantasia, no? Non aveva mai visto una tigre dal vivo ma sapeva dipingerne l’essenza. Amo tutto il periodo Fauves, i colori che usavano, le forme che utilizzavano e penso anche a Tanino Liberatore, con le sue tonalità davvero acide e pungenti”.
Il fotografo Francis Delacroix
C’è, infine, un personaggio a cui Lucio Corsi ha anche dedicato una canzone nel nuovo album, un fotografo suo conterraneo. Si tratta di Francis Delacroix, artista a cui lo stesso cantautore ha affidato diversi scatti e che descrive ai limiti del surrealismo. “È un mio amico fotografo di Volpiano, realmente esistente o forse è un’allucinazione cioè un amico immaginario. È un personaggio d’altri tempi: quasi non riuscivo a registrare questa canzone che già aveva vissuto altre strane avventure. Ne ha combinate diverse solo in quest’ultimo mese”, racconta. “Diciamo che è “un personaggio sembra della Beat Generation”.

Proprio il post social con cui Corsi ha annunciato la partecipazione all’Eurovision è uno scatto in bianco e nero di Delacroix. “Lui spesso scatta in bianco e nero, ma non solo. Devo dire che è difficile trovare dei fotografi nei quali poi non fai fatica a rivederti, no? Perché a volte tolgono qualcosa ma l’approccio di Francis a me piace. Mi sento tranquillo quando scatta lui. Mi piace la pasta che dà alle foto e, secondo me, il suo bianco e nero è vario, ha comunque delle sfumature. È colorato in qualche modo.
“Il suo approccio alla fotografia trasmette suono. E le sue foto mi intrigano. Ogni scatto ferma delle storie. Io penso sempre alle voci incastonate nelle fotografie. Pensa quante voci ci sono, quanti rumori e suoni incastonati dentro a delle istantanee”.
Immagini da Ufficio Stampa