Scatti su pellicola, vulcani spenti e paesaggi sospesi tra il pianeta terra e un altrove: Francesco Bianconi ci racconta il viaggio visivo di ‘El Galactico’.
Dal 4 aprile è disponibile, per BMG, ‘El Galactico’, l’attesissimo nuovo album dei Baustelle che segna una nuova tappa nel percorso evolutivo della band composta da Francesco Bianconi, Claudio Brasini e Rachele Bastreghi. Dopo ‘Elvis’ del 2023, che aveva riportato il gruppo alle sue radici rock con incursioni in territori blues, soul e boogie, ‘El Galactico’ si presenta come una sorprendente esplorazione sonora ispirata alla California degli Anni ’60. Con un’estetica visiva bruciata, psichedelica e desertica.
L’articolo continua più sotto
La nostra newsletter bisettimanale dedicata al mondo dell’arte e della cultura
È, infatti, l’artwork a portarci immediatamente in un universo ben connotato, prima ancora di immergersi nelle armonie vocali e negli arpeggi ipnotici del progetto. E se è vero che non si giudica dalla copertina, questa resta pur sempre una sorta di biglietto da visita. Sarà poi il contenuto a dirci se era solo un bluff ben confezionato o la rappresentazione visiva coerente e onesta di un immaginario completo. Ed è questo il caso dell’album di cui stiamo parlando, un disco la cui anima trova nella sua copertina il racconto grafico perfetto.

La cover di ‘El Galactico’ è, infatti, un’immagine potente e suggestiva che riflette l’estetica psichedelica e desertica del progetto. Si tratta di una fotografia scattata dallo stesso frontman Francesco Bianconi, raffigurante un vulcano spento a Fuerteventura, nelle Isole Canarie. Lo scatto cattura un paesaggio arido e primordiale, dominato da tonalità terrose che si mescolano a sfumature bruciate e acide. In piena coerenza con il concept visivo descritto dalla band.
Il concept dell’artwork
Con la sua silhouette imponente ma immobile, il vulcano emerge da un terreno brullo. Evocando un senso di vastità e mistero, quasi come se appartenesse a un pianeta alieno piuttosto che alla Terra. “L’intero artwork, così come quello di ‘Elvis’ – e ci tengo a ricordarlo – è opera di Gianluca Fracassi, art director”, racconta Bianconi. “Ci tengo a menzionarlo perché, pur lavorando sempre a stretto contatto con lui e mettendoci del mio, è lui il principale artefice”.
L’estetica di ‘El Galactico’ si distacca nettamente dalla semplicità monocromatica di Elvis. Il cantautore, a tale proposito, ne spiega la genesi in contrapposizione al mondo visivo del precedente disco. “‘Elvis’ aveva un’estetica molto minimale ed essenziale. Con un design in bianco e nero spogliato di ogni eccesso per rispecchiare il tipo di suono e contenuto musicale dell’album. Questa volta serviva qualcosa di diverso: un’estetica più vivida, quasi caotica, con un’impronta psichedelica”.
“Abbiamo quindi lavorato rielaborando fotografie e utilizzando soprattutto la pellicola”, continua. “Abbiamo scattato e sviluppato circa 3.000 foto. Durante le vacanze di Natale in Messico, mi sono portato tre macchine fotografiche e molti rullini, scattando un’enorme quantità di immagini. A novembre avevamo già fatto una sorta di perlustrazione alla ricerca di scenari desertici più accessibili e siamo stati alle Canarie, dove abbiamo girato e scattato altre foto. La copertina dell’album, infatti, è proprio una mia foto di un vulcano spento proprio a Fuerteventura.



“Tutto il concept è legato a un immaginario bruciato, colorato, acido, un mondo desertico che potrebbe essere la Terra, ma anche un pianeta psichedelico, un luogo non necessariamente terrestre. D’altronde, l’album si chiama ‘El Galactico’, quindi mi sembrava un’interpretazione visiva più che coerente”.
Da un’insegna nella notte al progetto di un festival
E pensare che l’idea del disco – e dell’omonimo festival che ne seguirà – è nata essa stessa da un’immagine unita a un’intuizione casuale di Francesco Bianconi. “Una notte, girando per la città, ho visto un’insegna al neon accesa. Sembrava tutto disabitato, le luci erano spente ovunque, tranne quella. Diceva ‘El Galactico’”. Da quel momento, quel nome diventa il fulcro attorno a cui si sviluppano le canzoni e l’intero concept visivo dell’album: un ponte tra la West Coast dei tramonti infuocati e un’atmosfera extraterrestre, quasi cinematografica.
“All’inizio ho pensato che potesse essere un buon titolo per un disco e, poi, man mano che lavoravamo all’album, è nata anche l’idea di curare un festival. Un festival che non fosse né la celebrazione di qualcosa di specifico né una rivendicazione, ma semplicemente un omaggio alla musica. Con band giovani, per dimostrare che esistono artisti emergenti che stimiamo, persone che si impegnano per portare avanti una musica diversa da quella che domina il panorama attuale. Giovani che credono ancora in forme di promozione alternative, che non siano solo investimenti economici o passaggi televisivi”.

Musicalmente, invece, ‘El Galactico’ attinge a un periodo preciso della storia del rock: “Gli Anni ’60 avevano un suono molto iconico, fortemente caratterizzato e legato a un periodo relativamente breve. Ovvero il 1965, il 1966 e una piccola parte del 1967, ma senza spingersi troppo avanti, evitando di arrivare alla Summer of Love in California”, spiega Bianconi.Ma quella dei Baustelle non è certo un’operazione nostalgica: “Le atmosfere dei Byrds e dei Mamas & Papas erano limpide e avvolgenti, con un suono che da ascoltatore mi ha sempre affascinato e appassionato profondamente”.
“Era brillante, scintillante, solare. Trasmetteva una vibrazione di gioventù, un senso di struggimento meraviglioso, che sembrava rappresentare l’inizio di qualcosa di enorme, l’esplosione di un’energia nuova. Conteneva una propulsione positiva che poteva fare da veicolo a storie legate al presente, che invece spesso sono segnate da una minore fiducia nel futuro. A noi piacciono i contrasti, e mi sembrava che questo potesse funzionare perfettamente. Mi è sembrato giusto attingere proprio a quel mondo sonoro anche perché, al di là dell’amore per quel suono e del suo valore iconico, mi sembrava che creasse un contrasto interessante con il presente”.
Il risultato? Un progetto che è un’esperienza al tempo stesso auditiva e visiva, un universo coerente, un viaggio che parte da un’insegna milanese e arriva ai confini di un pianeta immaginario, passando per i deserti delle Canarie e i tramonti di Los Angeles.
Immagini da Ufficio Stampa