Se c’è una cosa sulla quale sono d’accordo sia i suoi ferventi sostenitori che i suoi più accaniti avversari è che Matteo Salvini è l’uomo politico italiano più bravo a comunicare. Il leader della Lega è riuscito a trasformarsi in un’enorme macchina social capace di generare consenso popolare, onnipresente nella discussione politica nazionale. Il perché è da ricercarsi in una strategia di comunicazione efficace e ben studiata, al di là delle apparenze.
Sui social network Salvini si mostra in un’immagine sempre uguale a sé stessa, coerente con quella che si è saputo pazientemente costruire negli ultimi quattro anni. È un uomo forte e deciso che ribadisce poderosamente le proprie opinioni. Ma è anche un uomo comune, che vive anche le piccole sfortune quotidiane della vita. Siano esse delle semplici partite a flipper o complesse rotture di fidanzamenti in diretta social.
Il salvinismo è un brand fidelizzante
Inoltre quello che dice e che scrive, di qualunque materia si parli, è quello che la sua folla adorante ama sentirsi dire e che ogni volta – di riflesso – finisce per irritare irrimediabilmente gli avversari. È un puro concentrato di salvinismo, un brand fidelizzante che fa sentire al sicuro i suoi sostenitori, meglio se accostato alla pasta Barilla, al sugo Star o al pane e Nutella. Nomi da spot pubblicitario che richiamano la quotidianità e il calore del focolare familiare.
E come nella migliore delle tradizioni pubblicitarie, Salvini vende il prodotto in maniera indiretta, creandoci un mondo ideale intorno. Un immaginario collettivo ipotetico verso il quale tendere tutti insieme, difendendo a spada tratta pochi concetti. Altro discorso è quello di applicarli in realtà, quei concetti. Spesso basta lanciare una provocazione: non serve fare una legge (inapplicabile e palesemente incostituzionale) sul censimento della popolazione rom, l’importante è annunciarlo ai quattro venti, scatenando applausi o pernacchie a seconda del lato dal quale la si guarda. E conquistando l’attenzione dei mass media.
Scatenare reazioni è d’altronde un obbligo per chi comunica principalmente sul web. E il leader leghista lo fa, ora indignando, ora accusando. Talvolta persino divertendo.
Quella che talvolta stranisce è la sua immunità agli attacchi. Poco importa quanto argomentati e precisi possano essere, lui sembra vincere ogni scontro, a testa alta e con il sorriso sempre stampato in faccia. Schiaffeggia virtualmente ogni avversario e rivolta le critiche contro il mittente con contrattacchi studiati ad hoc, spesso vere e proprie puntate al rialzo.
Ogni giorno Matteo Salvini individua un nuovo nemico
Non che sia una novità, quella di cercarsi un nemico. Ma per Salvini il nemico cambia in continuazione. Berlusconi aveva lo spettro del comunismo, il centro-sinistra ha avuto il Cavaliere per vent’anni e quando finalmente è riuscito a sconfiggerlo si è ritrovato talmente stranito da autodistruggersi. Salvini no. I suoi nemici sono sì ben individuati, ma sono molti. E il leader del Carroccio ne attacca uno alla volta: oggi sono gli immigrati, domani è l’Europa, dopodomani le banche. E così facendo mantiene alto il livello dell’attenzione. Non annoia mai.
In questo è rimasto un leader anti-sistema anche dopo essere finito al governo, occupando la poltrona di Ministro e quella di vice-premier. Non dà l’aria di uomo di istituzioni, ma quella di essere sempre l’uomo della strada che veste in felpa e che quando torna tardi a casa mangia quelle quattro cose che trova in dispensa, facendo passare in secondo piano il fatto che ricopra cariche pubbliche sin dal 1993 (da più tempo di Berlusconi, sic).
Il successo di Salvini è figlio di una studiata spontaneità
Alla base del suo sistema di creazione del consenso c’è lo spin doctor Luca Morisi. Uno che di comunicazione politica se ne intende, al punto da essere probabilmente l’ideatore dell’appellativo di ‘Capitano’ affibbiato a Salvini dai suoi sostenitori creando l’idea di un condottiero senza macchia è senza paura.
A capo della ‘bestia’ della comunicazione leghista, Morisi sa come sfruttare al meglio gli algoritmi dei social network, raggiungendo un engagement da urlo, al punto da fare invidia ai politici di mezzo mondo. Riesce a fare apparire come spontaneo uno studiato sistema fatto di immagini un po’ sgranate e frasi brevi ad effetto, che riprendono la struttura tipica dei meme. E come tali diventano virali.
Il rischio di lungo termine è il più alto possibile: quello di perdere in un soffio il consenso costruito. Ma per il momento nessuno sembra essere in grado di riuscire a costruire un’alternativa minimamente confrontabile alla sua.