Ho provato ClubHouse e l’ho trovato estremamente scomodo e poco utile. Ecco come funziona il social network del momento.

Quando ha iniziato a circolare la voce dell’arrivo di ClubHouse – il social network del 2021 – ho subito voluto provarlo. Perché sono curiosa e quando c’è hype intorno a qualcosa mi interessa capire perché se ne parla. ClubHouse, come ormai tutti sapete, è il nuovo social network esclusivamente vocale. L’impressione è che i suoi creatori – Paul Davison e Rohan Seth – affascinati dal successo dei podcast – abbiano voluto approfondire questa strada, puntando però su un elemento che nei podcast manca: l’interattività.

Di fatto, ClubHouse è un social che permette a chiunque di creare una stanza in cui parlare di un tema a piacere. È possibile ascoltare la conversazione passivamente o chiedere di intervenire e, in questo modo, il ‘podcast’ diventa partecipato. L’idea è bella, ma è la solita forzatura ormai comunissima e stravista negli ultimi decenni: quando qualcosa funziona lo si replica, lo si ampia con opportune modifiche sfruttando la tendenza del momento. ClubHouse a livello comunicativo ha fatto ancora di più: la app funziona infatti solo su iOS e solo su invito. Un dettaglio che in termini di marketing funziona e funziona anche bene, perché solleticare l’ego degli utenti è ormai la chiave di ogni social di successo. L’idea di far parte di una community esclusiva spesso è più attraente dell’idea di creare un podcast partecipato, e così nel gennaio 2021 gli utenti su ClubHouse hanno superato la soglia dei due milioni.

ClubHouse, ma non è meglio una telefonata?

Ah, che bello. ClubHouse è una community di gente che possiede un iPhone e con amici influenti. Ok, ma una volta ottenuto l’invito (così esclusivo che qualcuno li ha messi in vendita su eBay) cosa potete fare su ClubHouse? Quando ogni tanto vado a vedere che aria tira ci sono stanze in cui si parla degli argomenti più disparati. All’inizio erano chiacchiere da bar, ma ci è voluto poco e son subito arrivate anche le strategie di marketing e promozione. Di conseguenza, è facile incappare in stanze in cui l’artista parla di musica, la beauty influencer parla di beauty e i gamer parlano di videogiochi. ClubHouse è però un ibrido che faccio fatica ad accettare. Per le chiacchiere da bar esistono i telefoni, che offrono anche svariati vantaggi. Pensate: nessuno, mentre parlate con gli amici dei fatti vostri, può ascoltarvi e introdursi nella conversazione. Incredibile. Se dovete invece proporre la vostra expertise perché privarsi del piacere del podcast che l’utente è libero di ascoltarsi quando vuole, senza orari e appuntamenti da rispettare? ClubHouse è volatile e mai come in questo caso vale la regola del verba volant, scripta manent. Nulla resta e nulla esiste se non nell’attimo in cui lo ascoltate. E perché dovrei modificare la mia vita e i miei orari per ascoltare gente che parla piuttosto che ascoltarmela quando dico io? Non saprei.

Ah, ma ci stanno i vip

La verità è che ciò che non trovate su altri social o mezzi già esistenti è la possibilità di incappare in qualche celebrity. Elon Musk è diventato un caso, ma – come recita Wikipedia – «l’app è anche nota per i suoi utenti famosi, visto che ospita membri come Drake, Kevin Hart e Tiffany Haddish». L’altro giorno – per dire – sono finita in una stanza in cui noti cantanti italiani discorrevano del valore degli oggetti vintage, ma anche la star straniera è a portata di stanza. Basta incappare nella room giusta per beccare Lindsay Lohan che parla da casa sua a Dubai. Tutto molto bello, e quindi? A cosa serve? Qualcuno vi dirà che è bello scambiare opinioni e parlare con gente a caso, ma la verità è che no, non è bello per niente. Ascoltare persone che parlano per ore accavallandosi e chiedendo la parola è scomodo e per lo più inutile. A breve arriveranno le logiche di mercato e qualcuno ne approfitterà per tenere sermoni infiniti con l’illusione di un’interazione che sarà probabilmente limitata. Lì, sicuramente, ClubHouse troverà la sua utilità e la sua logica. Fino ad allora sappiate che anche senza invito si vive benissimo e che, per il momento, ClubHouse altro non è che un covo di declamatori alla ricerca dell’ennesima vetrina. Fosse anche solo per dispetto, neghiamogliela.

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